Benvenuti nel futuro

Intervista a Rebecca Agnes

di Linda Azzarone

Fino al 6 aprile 2019 la Fusion Art Gallery/INAUDITA di Torino presenta Welcome to the Future, la mostra personale di Rebecca Agnes.

Linda Azzarone/ Questa è la tua seconda mostra alla Fusion Art Gallery/INAUDITA di Torino. Si intitola Welcome to the Future e parla di quanto la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo. Come mai hai scelto questo tema?

Rebecca Agnes/ La tecnologia è un pretesto per parlare di come rappresentiamo la realtà e definiamo le identità. Quella che noi usiamo abitualmente appartiene all’era digitale. Ma coloro che hanno più di trent’anni, me compresa, sono nati nell’era pre-digitale. A quel tempo non c’era il personal computer, non c’era internet e nemmeno il cellulare. Al giorno d’oggi è impensabile incontrare qualcuno senza lo smartphone, mentre una volta per chiamare si usavano le cabine telefoniche. Per chi non ha vissuto questo cambiamento le nuove tecnologie appaiono ovvie, e invece non lo sono per niente. Il problema è che questi strumenti, stanno iniziando a diventare delle credenze. Si tende a confondere il mezzo con il contenuto: leggo un testo su Wikipedia e penso che sia lo specchio della realtà. Ciò in parte è vero, però le informazioni che troviamo su internet possono essere parziali o addirittura fuorvianti. Ritengo che la cosa positiva del web sia quella di mostrare quanto sia limitato il nostro punto di vista, che dovrebbe sempre essere messo in discussione. Questo riguarda anche altri aspetti della società contemporanea, ad esempio i privilegi. Su questi ultimi è importante riflettere per cercare di immedesimarci nelle esigenze del prossimo.

LA/ Welcome to the Future è anche il titolo del tuo ricamo che si trova all’ingresso della prima sala.

RA/ Sì, esatto. Questo è un tessuto ricamato a cui ho aggiunto una serie di robot-mostri dei cartoni animati che guardavo negli anni ’85-’95. Sono tutti anime giapponesi ambientati in un futuro instabile, sempre in guerra. Di recente ho rivisto Akira, che guarda caso si svolge proprio nel 2019. La serie animata rappresenta una realtà totalmente diversa da quella in cui viviamo. Non ci sono mostri e alieni che arrivano dallo spazio, tuttavia anche il nostro mondo è in conflitto perenne. Oltre ai conflitti armati, esistono anche quelli tra le classi sociali. Un gap che non è stato ancora lontanamente superato.

LA/ Le opere più sfiziose della mostra sono le piccole tele appese sulla parete di fronte all’ingresso dello spazio. Ricordano i meme diffusi sui social network, infatti parlano di internet e delle nuove tecnologie. Cosa vuoi dirci in merito?

RA/ Funzionano tutte così: su ogni tela è riportata una frase in inglese associata a uno sfondo, che ho riprodotto da varie fonti. Meme ad esempio ha un disegno che riproduce la schermata di Abe’s Oddysee. Un videogioco in cui il personaggio principale, un alieno, deve salvare tutti quelli della sua specie. Così ogni volta che ne incontra uno gli dice “Follow me”, “Seguimi”, e l’alieno lo segue. Proprio come il meme è un’idea o un’azione che viene seguita e imitata su internet.

LA/ Ci sono poi altri due ricami molto interessanti che affrontano il tema delle identità, o sbaglio?

RA/ Non sbagli. Il primo si intitola Sono i miei organi interni? Ho chiesto a diversi amici di disegnare ciascuno un organo del corpo umano, che poi ho ricamato. L’opera spiega quanto l’identità non abbia a che fare con noi stessi, né come siamo all’esterno né all’interno. Io posso definirmi una donna anche se non avessi l’utero o il seno, se mi riconosco in quanto tale. Qui metto in discussione l’idea attuale di doversi per forza riconoscere in un genere. Quando la natura stessa ci dimostra che non esistono solo due sessi, ma forme più complesse di identità. Il secondo ricamo Quando i dinosauri non avevano le piume l’ho realizzato con lo stesso procedimento. Da un paio d’anni è stato scoperto che in realtà i dinosauri avevano le piume. Ciononostante la società fa fatica a cambiare l’immagine che aveva dei dinosauri. Anche nell’ultimo Jurassic Park il loro aspetto fa fede alla vecchia rappresentazione. Quest’opera è una metafora di quanto sia difficile per le persone cambiare le proprie consuetudini.

LA/ Gli stessi temi dei ricami proseguono anche nei tuoi disegni.

RA/ Sì, ad esempio c’è un disegno che ha a che fare con il lavoro sui dinosauri. L’opera raffigura una città X con delle piccole frasi nascoste tra le case. Sono scritte in inglese, tedesco e italiano, le tre lingue con cui vivo. Tutte queste frasi parlano di privilegi: “Sono un uomo, il femminismo non mi interessa” oppure “Io posso fare le scale, perciò non mi interessa che ci sia una rampa in un luogo pubblico”. Sono affermazioni di persone che hanno un privilegio e che perciò non si curano delle difficoltà degli altri. E invece dovrebbero mettersi nei loro panni e cercare di comprenderli.

LA/ Che cosa ti aspetti dal pubblico che viene a visitare la tua mostra?

RA/ Che le mie opere diventino degli spunti di riflessione, perché pongono tante domande che ci riguardano. Inoltre mi aspetto che questi lavori trovino una nuova casa. Per questa mostra ho voluto fare un esperimento. Le opere non hanno un prezzo predefinito, perciò l’acquirente è invitato a fare un’offerta (in base alla propria disponibilità economica), valutando il lavoro dell’artista e quello della galleria. Di solito si pensa che le opere d’arte contemporanea siano molto care, ma non sempre è così. Per coloro che faranno un’offerta ragionevole, questa mostra è una grandiosa opportunità per acquistare un lavoro a un prezzo inferiore rispetto al suo valore di mercato.

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