il Museo Immaginato

il SECOLO LUNGO della MODERNITÀ

di Philippe Daverio

Recensione di Pino Rotta

(fine 2013)

“Qui vi vorrei spiegare a che cosa serve il mestiere dell’antropologo culturale rispetto a quello dei critici. Questi ultimi dividono la storia delle arti in base a scuole e categorie che consentono loro di assumere una convinta importanza sulle pagine scritte, nei musei e nell’opinione. L’opinione pubblica ha assoluto bisogno di questi criteri per non perdere il nord e la testa. Per questo motivo il critico, più è abile, più è incline a esprimere giudizi di merito che siano adatti a distinguere il bello dal brutto, il buono dal cattivo, l’utile dall’inutile. All’antropologo interessa invece tutto ciò che gli esseri umani e le loro curiose tribù hanno prodotto. Si pone domande di vasto raggio e cerca elementi di paragone che permettano di generare categorie ampie suscettibili di interpretazioni, ma non di giudizi di merito.” (Philippe Daverio).

Dove cercare un migliore avvio per presentare il lavoro di un autore se non proprio nel testo in questione? In questo caso non si tratta dell’incipit in senso stretto ma una frase intera (pag. 148 del libro) che definisce, a mio avviso, in maniera precisa il senso di questo libro. Quale cultore della materia trovare la definizione di antropologo culturale in un testo che, apparentemente, dovrebbe essere “solo” di storia dell’arte, confesso che mi ha dato molta soddisfazione e ancora di più condividere pienamente la definizione che Philippe Daverio ne da in riferimento proprio al lavoro di critico d’arte. Philippe Daverio, ormai conosciutissimo dal grande pubblico televisivo non completamente profano della storia dell’arte, o meglio delle arti, per format come Passpartout, Il Capitale e Emporio Daverio, è professore presso la facoltà di Architettura di Firenze e, pur essendo nato in Francia e naturalizzato in Italia, con importanti antenati che legano la sua famiglia alla storia risorgimentale italiana ed in particolare all’impresa garibaldina, ha una particolare sensibilità per tutti gli eventi che hanno determinato la nascita degli stati unitari europei e dei movimenti politici, filosofici ed artistici caratteristici di quello che viene definito nel titolo di questo libro il SECOLO LUNGO della MODERNITA’ che rimanda al “Secolo Breve” descritto nell’omonimo saggio di Eric J. Hobsbawn. In questo volume la storia moderna d’Europa è presentata con l’allestimento immaginario di un Museo in cui appunto i dipinti non vengono esposti secondo cronologia, stili o scuole artistiche ma come una sorta di guida illustrata della storia culturale europea, dalla Rivoluzione francese all’avvento dei totalitarismi nazisti, fascisti e comunisti. Lo stile, per sua natura impertinente dell’autore, affascina il lettore e lo stupisce facendogli cogliere particolari aspetti delle opere esposte. Mentre viene descritto il Museo nella sua struttura (immaginario recupero di una vecchia stazione ferroviaria in disuso) il lettore entra, con un coinvolgimento quasi cinematografico, nell’ambiente e nei dipinti. Attraverso le centinaia di opere riprodotte che raffigurano dipinti di ben 263 pittori, Daverio ci conduce nella vita degli uomini e delle donne, dei luoghi, dei paesaggi, delle città europee, mediate dalla personalità degli artisti, suggerendo, forse, come l’Europa sia stata percepita come unità storica e culturale ben due secoli prima della sua fondazione politica. Proprio questo aspetto del libro, cioè l’aver messo l’accento sulla pittura come documento storico antropologico, ci fa cogliere il profondo senso di appartenenza al nostro continente. Un radicamento culturale che viene dalla lontana epoca classica e si sviluppa, con una indiscutibile consapevolezza del legame tra la storia dei popoli e la sua geografia politica, fino alle soglie di quelle avanguardie che segneranno il periodo successivo postmoderno. Un senso di appartenenza che, negli ultimi venti anni con puntuale lavorio ideologico, è stato via via minato e logorato per far spazio alla ideologia postmoderna identificata con il termine di Globalizzazione, che, tradotto nella vita quotidiana, si manifesta con un senso di impotenza e di atopia. Questo libro di Philippe Daverio, mentre ci arricchisce nella conoscenza dell’arte moderna, ci consegna anche uno strumento per rileggere la nostra identità umana, con le nostre radici già lanciate verso un futuro in cui “l’arte in sé” viene smascherata come incapacità di lettura culturale e non come espressione della massima libertà dell’artista.

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