Riflessioni – a mente fredda – sulla 58. Biennale d’Arte di Venezia

di Loredana Barillaro

Ebbene, quando il clamore e la frenesia che caratterizzano il durante e il dopo i tre giorni più cool dell’arte mondiale, ossia quelli della pre-apertura della 58. Biennale d’arte di Venezia – quelli per intenderci in cui si fa la fila per entrare nei padiglioni nazionali e si percorrono i “corridoi” di May You Live In Interesting Times curata, come ben sappiamo, da Ralph Rugoff – si placano, noi, a mente fredda e con il dovuto distacco, ci abbiamo riflettuto un po’ su. D’altra parte anche Paolo Baratta, nel suo testo in catalogo, invita a visitare la Biennale con calma e anche con un po’ di distacco, magari proprio dopo quei frenetici, ma fantastici giorni di pre-apertura. Ecco, noi in quei giorni c’eravamo e l’abbiamo respirata tutta quella preziosa adrenalinica frenesia, ma con calma e distacco abbiamo deciso di scriverne, proprio per restituire in maniera lucida tutto l’entusiasmo e la “bellezza” che abbiamo vissuto e assorbito. Ebbene si, viviamo in tempi interessanti sotto diversi aspetti, più o meno belli, più o meno brutti, più o meno accattivanti ed è qui che evidentemente il pubblico – come suggerisce Baratta – diventa partner, viene chiamato a vivere, a scegliere o a subire questi tempi interessanti. Forse è anche per questo che Ralph Rugoff ci presenta due “opportunità”, puoi scegliere la proposta A o la proposta B o puoi affidarti semplicemente al caso, in fondo non sai mai quello che vi sarà e che ti aspetta. La mostra di Ralph Rugoff potrebbe definirsi “antropomorfa” rispecchiante cioè quella che è la natura umana, così mutevole, così varia e mai uguale a se stessa. Forse è per questo che nelle “due mostre” A e B si possono incontrare opere molto diverse fra loro ma realizzate dallo stesso artista. E dunque al bando – finalmente! – la tanto proclamata, e a volte “costretta”, riconoscibilità dell’artista, chiamato, ora, a mettersi a nudo, per mostrare tutte le sue facce…

Si è detto poi molto del Padiglione Italia, e del progetto chiamato a rappresentarlo, Né altra Né questa: La sfida al labirinto. In esso evidentemente sta a noi comporre il tutto e al contempo riuscire a capire dove “finisce” un artista e ne comincia un altro. Qualcuno lo ha definito il “Padiglione del Curatore”, può darsi, se con questo intendiamo un progetto curatoriale che, appunto, restituisca un messaggio nella sua interezza. In fondo un curatore non è forse chiamato a realizzare un tutt’uno “armonico” in cui le singole “voci” degli artisti sono arruolate in una visione corale? E perché pensarlo per forza in una connotazione negativa e sovranista rispetto ai singoli artisti? E ancora, è un Padiglione colto? Forse sì! Magari il suo curatore, Milovan Farronato, presuppone proprio questo, un pubblico colto, una certa preparazione da parte di chi guarda e fruisce; d’altra parte non sarebbe poi così strano! Sta a noi, ai visitatori, riconoscere gli artisti, e il labirinto in fondo richiede una fruizione senza soste. Pertanto, se vuoi vedere la luce, devi districarti, riconoscere le “tracce” e farti guidare da loro.

Dall’alto: Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, MayYou Live In Interesting TimesKadyrovaSecond Hand, 2015-2019. Mixed media. Photo by: Francesco Galli. Market, 2017-2019. Ceramic tiles, cement, mirror and natural stone. Photo by: Italo Rondinella. Courtesy La Biennale di Venezia. Né altra Né questa: La sfida al LabirintoPadiglione Italia alla Biennale Arte 2019. Photo Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti. Courtesy DGAAP-MiBAC.

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