FILM | Full HD, 16:9, sound, color, 18’49’’
Visibile
Case Chiuse HQ, Milano
“L’idea del film About Mirages and stolen Stones, iniziato nel 2018, è nata dal mio interesse per la narrazione speculativa e per le storie complottiste popolari, in questo caso The Flat Earth Theory – teoria per cui la superficie terrestre sarebbe piatta. Nonostante la possibilità, oggi aperta ad un numero crescente di persone, di accedere a strumenti di visualizzazione estremamente efficaci, ad esempio Google Earth, l’antica convinzione che la Terra sia piatta è tornata a far parlare di sé, trovando molti nuovi seguaci. Credo che il rinnovato successo di questa teoria denoti la diffusione di un relativismo estremo circa l’attendibilità dei modelli esplicativi rivolti al funzionamento del mondo, mentre le gerarchie delle conoscenze, inclusa la distinzione sociale tra esperti e non esperti, appaiono sempre più sfumate. Se da un lato la fortuna della narrazione terrapiattista può essere vista come figlia dei cambiamenti introdotti nella gestione delle informazioni a seguito della diffusione di Internet, dall’altro può essere messa in relazione con un’evoluzione occorsa nel nostro rapporto con le immagini e con la rappresentazione visiva in generale. Spesso, infatti, chi crede nella Terra piatta si fida esclusivamente del proprio sguardo, per cui avanza un ragionamento di questo tipo: se l’orizzonte appare piatto anche la Terra deve essere piatta. All’infuori del nostro sguardo individuale, tutto è potenzialmente manipolabile, soprattutto le immagini. Uno dei tratti distintivi del film risiede nella scelta di adottare una prospettiva di tipo soggettivo rispetto a fenomeni di carattere globale, come il presunto appiattimento della superficie terrestre. Si tratta cioè di immaginare come noi, in quanto singoli, percepiamo i mutamenti di portata ben più grande, che riguardano appunto la Terra nel suo insieme”. Natália Trejbalová
La realizzazione di About Mirages and stolen Stones segna l’inizio di un nuovo percorso nella produzione audiovisiva dell’artista, passando dall’utilizzo del found footage e CGI alle riprese con videocamera, alla creazione di set e props. Il film è diviso in tre atti tra loro complementari. Il primo, and then we cut the ground from under , è stato realizzato nell’autunno 2018 e presentato al DEMO – Deptford Moving Image Festival a Londra (2019) e presso 35M2 a Praga (2020). Il primo capitolo è pensato come un’introduzione al mondo della Terra piatta, raccontato da una scienziata che sta indagando sul fenomeno. La narratrice espone le sue ipotesi spiegando la nuova conformazione geofisica, la creazione del Bordo Terrestre e del Grande Arcobaleno, concetti chiave del suo pensiero. Sembra che dal momento in cui la Terra è andata incontro al cosiddetto appiattimento, il mondo si sia semplificato e l’umanità abbia cominciato a perdere conoscenze, lingue, numeri, immagini e in generale l’attitudine a comprendere la complessità. Le immagini di questo atto sono ispirate alle visualizzazioni 3D usate in fisica per studiare i comportamenti dei materiali e generano un’ambiguità visiva tra le immagini CGI e le riprese reali. Qui le leggi della fisica sembrano sospese. Il secondo capitolo, Where is when the Sun never rises , è dedicato al Bordo Terrestre. La narrazione entra nel dettaglio di quest’area misteriosa, la colonna sonora e la voce della narratrice evolvono. Lentamente le sue riflessioni diventano meno razionali e sempre più personali. Sotteso a tutto il film, benché non immediatamente evidente allo spettatore, emerge un parallelo tra la narrazione speculativa sull’appiattimento della Terra e la reale responsabilità dell’uomo per la distruzione del pianeta e dei suoi ecosistemi. La scienziata, protagonista di questa storia, gradualmente si chiede se l’appiattimento terrestre non sia stato causato proprio dall’uomo. L’unica area in cui tutto può essere ancora trovato e generato è il Bordo Terrestre, vero e proprio finis terrae. Da questo luogo si può osservare il Grande Arcobaleno che si estende sopra un canale, dando luogo ad un paesaggio etereo in cui le acque degli oceani si riversano e scorrono nello spazio infinito dell’universo. L’immagine di questo capitolo è ispirata all’estetica dei film di fantascienza e agli effetti analogici utilizzati nel cinema prima dell’avvento del digitale, soprattutto nella creazione di props e modelli in miniatura. Uno dei riferimenti principali per questa parte è il cinema di Karel Zeman. Nel terzo e ultimo capitolo, “Once, returning…” she said , l’unico girato esclusivamente in esterna, la narrazione cambia, diventa un canto, una litania sulla perdita. La voce della protagonista si trasforma in un lied, come se lei fosse l’unica a rimpiangere il mondo di una volta. Qui la musica prende il sopravvento sulle immagini che invece diventano astratte, orizzonti marini in cerca di miraggi. La videocamera si concentra sui riflessi del sole nel mare, sui colori dell’alba o del tramonto che si fanno sempre più sfocati per lasciare spazio alla parte sonora del racconto. About Mirages and stolen Stones è un viaggio immaginifico ai confini della Terra, in cui lo spettatore si immerge, ritrovandosi solo alla fine ad interrogarsi sulla perdita del mondo come lo conosciamo.
Per info:
Case Chiuse HQ, Milano
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trejbalova.info
Ufficio stampa:
PCM Studio srlcr di Paola C. Manfredi, Milano
francesca@paolamanfredi.com | www.paolamanfredi.com
Case Chiuse#10 | Natália Trejbalová| Federico Bianchini.
1° ATTO | Natália Trejbalová, About Mirages and stolen Stones.