S-COMPOSIZIONI | Francesca Piovesan

testo critico e curatela di Sabino Maria Frassà

dal 22 novembre 2021 all’8 marzo 2022

Gaggenau DesignElementi, Roma

Che forma abbiamo noi? Sembra una domanda scontata, eppure mai come oggi, ai tempi della società dell’immagine, interrogarci sulla nostra forma significa cercare di comprendere chi siamo veramente: la forma è il contenuto?

Francesca Piovesan ha fatto dell’indagine sulla forma del corpo il perno della propria ricerca artistica. L’interesse costante è da sempre il cogliere e rappresentare l’essenza umana nel suo incessante mutare. Secondo l’artista è impossibile definire – e perciò rappresentare – chi e cosa siamo in modo univoco; l’arte non può checogliere e restituire un attimo, che altro non è che un frammento in movimento, come ben raccontato da un’opera tanto amata dall’artista quale “Dinamismo di un cane al guinzaglio” (Giacomo Balla, 1912). L’essenza dell’esistere risiede quindi nella comprensione e accettazione proprio di tale dinamismo e trasformazione, che viviamo e si rende visibile in primis sulla nostra pelle. E così tutta l’opera di Francesca Piovesan ha come comune denominatore l’epidermide, quel rivestimento esterno del nostro corpo che ci contiene, separa e ci mette in relazione con ciò che è altro da noi: dai primi lavori fotografici di confronto tra il proprio corpo e quello della nonna, alle opere sulle cicatrici delle donne – “Uneasy” – l’artista da sempre cattura nei propri lavori il modificarsi della pelle nel tempo. È pertanto in ciò che inevitabilmente cambia che l’artista ricerca l’essenza dell’essere: una forma in trasformazione.

Dopo cinque anni dall’elaborazione del fortunato ciclo de “Gli Specchianti”, che le è anche valso la possibilità di rappresentare l’Italia alla biennale del vetro di Bornholm, l’artista torna oggi con il nuovo ciclo di opere “Aniconico”, in cui l’epidermide è il punto di partenza per portare avanti lo studio sull’essenza della vita. Tale ciclo di opere introduce un forte elemento di discontinuità nella poetica di Piovesan: la scomposizione anche nella presentazione della figura umana all’interno dell’opera d’arte. Parlare di rappresentazione per Piovesan è tuttavia sempre foriero di equivoci, dal momento che l’artista presenta il corpo umano attraverso tecniche che prevedono la raccolta ed elaborazione di elementi organici, quali sale e grassi, prelevati dall’epidermide. L’aspetto processuale ha quindi una valenza fondamentale, ma non coincide mai con il senso ultimo del lavoro, che perciò si allontana dalla body art tradizionalmente intesa. Il processo a partire dal corpo è soltanto il punto di inizio per il gesto artistico di Francesca Piovesan: l’artista mantiene il controllo e la regia dell’opera d’arte all’interno della quale combina, in una continua sfida con se stessa, l’imprevedibilità del materiale corporeo con l’intento artistico, concettuale e narrativo che si manifesta da sempre in un forte rigore compositivo. Proprio dalla riflessione sul rapporto composizione-scomposizione nasce questo nuovo ciclo di opere, realizzate attraverso la riproposizione di una tecnica elaborata anni fa dall’artista e consistente nello sviluppo fotografico di impronte lasciate dal corpo umano su nastro adesivo. Lo scotch, sul quale sono intrappolati i sali e i grassi presenti sull’epidermide, viene processato come se fosse una pellicola fotografica e dalla reazione con i sali (nitrati) d’argento scaturisce una sorta di “impressione fotografica” del corpo. L’artista era solita raccogliere tali sviluppi su carta o vetro, ricomponendo la parte di corpo che li aveva generati. In tutti questi lavori si poteva pertanto leggere la figura umana: un volto, un seno o tutto il corpo, come nell’imponente opera “Frammenti” (2020). Del resto, comune denominatore all’arte di Francesca Piovesan è senz’altro un approccio fotografico all’arte: la fotografia – per lo più off-camera – è intesa quale strumento di indagine. I sali d’argento che danno vita alle impressioni fotografiche che hanno reso celebre l’artista sono intesi proprio come strumento per fermare nel tempo elementi organici, la vita stessa. Francesca Piovesan, colpita dal Covid, ha impiegato il tempo della malattia e dell’isolamento per rielaborare in modo completamente nuovo tale tecnica, nel tentativo di riflettere su ciò che stava accadendo al proprio corpo e per comprendere realmente quale fosse la sua vera “forma”. Forte e pervasiva appare una inedita tensione all’astrazione, intesa quale strumento per universalizzare l’esperienza umana e andare al di là del corpo così come da noi inteso e rappresentato. L’artista finisce così per riflettere in modo esplicito sul ruolo sempre più ambiguo che sta assumendo la fotografia e l’uso dell’immagine nella nostra società. Con la fotografia che cattura la pelle, Francesca Piovesan constata come non siamo come appariamo né come ci auto-rappresentiamo in infiniti e iperreali selfie e immagini ritoccate. La società contemporanea sembra del resto star alimentando una pornografia dell’immagine e una sorta di grottesca idolatria di un corpo umano tanto idealizzato quanto inesistente, che si mostra in tutta la sua debolezza concettuale di fronte a queste opere. Non a caso nelle scomposizioni del ciclo “Aniconico” l’artista decide di abbandonare la ricomposizione degli sviluppi fotografici del corpo e di procedere a una loro scomposizione in frammenti intesi quali veri e propri tasselli di “mosaici di pelle” dai motivi geometrici. In un intento in qualche misura cubista – ogni rotondità è negata – tali opere raccontano una rivoluzionaria e “reale” rappresentazione, o meglio presentazione, del corpo umano e quindi di ciò che siamo: infiniti capezzoli, occhi e tracce del tempo sulla pelle sono ricomposti e sublimati in geometrie perfette disegnate dall’artista sul modello di mosaici che richiamano tanto l’arte giudaico-islamica quanto i labirinti ottici di Maurits Cornelis Escher. Dalla scomposizione ai minimi termini dell’immagine del nostro corpo nasce così un nuovo ordine, una rappresentazione universale dell’essere umano, che trova nella sua – inesorabile – trasformazione la propria essenza. A differenza delle precedenti opere, i mosaici del ciclo “Aniconico” riescono ad andare oltre la “mera” documentazione del corpo in un istante, per rivelare come in ogni istante si celi il tutto e l’universalità del nostro esistere. Quello che vediamo non è un corpo, né la sua rappresentazione, ma è l’essenza di ciò che siamo: materia in trasformazione che tende verso e all’infinito.

Gli infiniti richiami e rimandi a tutta la storia dell’arte rendono questo ciclo di opere caleidoscopico, enigmatico e perciò irresistibile: dal “non recidere, forbice, quel volto” di Montale, al bianconero dei mosaici di Caracalla, alla rappresentazione di Dio nell’arte, ai forti riferimenti alla fotografia di Duchamp – si pensi a “L’attaccapanni” del 1920 – ai celebri occhi di Man Ray e alle macabre composizioni di Witkin. Ma se tali riferimenti sono sottili e frutto più di una stratificazione culturale che di una reale intenzionalità artistica, il riferimento e lo studio di Leonardo Da Vinci è esplicito e parte integrante dell’opera. L’idea rinascimentale dell’essere umano al centro dell’universo è però ribaltata dall’artista, che riprende in modo del tutto originale tanto la geometria “sacra”, quanto soprattutto la quadratura del cerchio dell’Uomo Vitruviano con cui Leonardo cercò di sublimare la “carne” al di là del tempo e della materia. Non solo tutte le nuove opere di Francesca Piovesan sono oggi quadrate, ma la dimensione è anche pari alla superficie di corpo dell’artista allorché ritratta fotograficamente a figura intera, piano americano, piano medio, mezzo busto, primo piano, primissimo piano e particolare degli occhi. Ad esempio, la dimensione della prima opera di questo ciclo, pari a 44 centimetri quadrati, corrisponde all’area di epidermide che sarebbe rappresentata da un autoritratto fotografico a mezzo busto. L’artista trasforma così l’idea di un ritratto soggettivo in una fotografia universale del corpo umano. In questo quadrato soggettivo fatto di frammenti di corpo in trasformazione possiamo cogliere tutta l’umanità.

“Aniconico” risulta essere un corpo di opere frutto della maturità artistica raggiunta da Francesca Piovesan: il ritorno all’ordine tipico della fase matura di tanti artisti è in Piovesan un percorso di crescita per astrazione o meglio attraverso la trascendenza dalla figura umana. L’artista dà forma a un nuovo ordine riuscendo a completare quel percorso induttivo cominciato proprio con gli Specchianti, di passaggio dalla presentazione della propria soggettività al cogliere l’essenza universale della nostra esistenza. Ci troviamo così di fronte a un’inedita armonia estetica e compositiva, una perturbante quiete esistenziale che muove il nostro pensiero a vederci da vicino, quasi in modo viscerale, non fermandoci alla prima impressione. Ammirando questi mosaici non possiamo che comprendere ancora una volta come siamo tutti tessere di un mosaico infinito di cui non sempre riusciamo a cogliere la forma – geometria – completa; siamo dei frammenti di quella memoria collettiva di cui facciamo inevitabilmente parte nel nostro essere vittime e carnefici di un inarrestabile mutamento, che è la nostra stessa essenza. Jung diceva che “chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia”, Pirandello invece concludeva che “ciò che conosciamo di noi è solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa”. Che l’ammirare i mosaici di Francesca Piovesan possa maieuticamente aiutarci?

EXTRAORDINARIO- Arte e design come portatori di extraordinarietà, strumenti per esplorare una realtà che – come suggerisce l’etimologia latina extra – travalica ciò che vediamo e percepiamo. È questo il concetto alla base del ciclo di mostre “Extraordinario”, ideato per il brand del design Gaggenau dal direttore artistico di Cramum, Sabino Maria Frassà, per ricominciare a pensare realmente al futuro. L’arte e il design ci permettono infatti di andare al di là della realtà: trasformano e declinano la materia, fornendoci strumenti per guardare con occhi nuovi ciò che ci circonda e scoprirne l’eccellenza. Un’eccellenza di cui Gaggenau si fa da sempre portavoce, promuovendo e sostenendo progetti con cui anticipare qualcosa della realtà che non conosciamo, instaurando a tutti gli effetti un dialogo con il futuro. Con “Extraordinario” Gaggenau e Cramum si uniscono nuovamente in un percorso dedicato a scoprire il valore extraordinario di tutto ciò che ci circonda, nel quale arte e design si intrecciano, accomunati dalla forte capacità di superare l’ordinario, esplorando e portando all’estremo le potenzialità dello spazio e della materia. Per tutto il 2021 il ciclo di mostre anima gli spazi Gaggenau DesignElementi di Roma e Milano, ispirandosi agli elementi alla base del successo e del design di Gaggenau: la luce e l’invisibilità – punti di partenza della ricerca estetica del brand – e l’utilizzo di materiali come vetro, metallo e legno – che da sempre rappresentano la storia del marchio tedesco. Protagonisti di tale racconto quattro artisti, che ci guidano alla scoperta della extraordinarietà che ci circonda e da cui dobbiamo ripartire. Filo conduttore di tutte le mostre, la riflessione sul coesistere con gli altri nello spazio urbano, sociale e architettonico. Il ciclo “Extraordinario” è partito dall’hub di Milano con la mostra “IO | N”, in cui Fabio Sandri, maestro dell’off-camera, ha indagato attraverso grandi installazioni fotografiche il sempre più labile confine tra noi e gli altri e il concetto di spazio – con la serie dedicata alle “stanze” – utilizzando la luce come strumento fondamentale della conoscenza. A Roma, il duo TTOZOI ha mostrato, con le muffe protagoniste di “Fiori invisibili”, come dalla “collaborazione” tra l’uomo e la natura possano nascere capolavori. In autunno Fulvio Morella indaga il sincretismo architettonico contemporaneo attraverso il percorso espositivo “Pars Construens”: in mostra un ciclo di opere inedite realizzate unendo al legno tornito l’acciaio, il rame e la scrittura in braille. Il ciclo “Extraordinario” si conclude poi a Roma con la personale “S-Composizioni” dedicata a Francesca Piovesan, che tramite luce e specchi riflette sul significato dell’armonia umana e universale.

Francesca Piovesan (Aviano, Pordenone, 1981) si è diplomata in Restauro di Dipinti Murali allo UIA di Venezia e in Arti Visive, indirizzo Decorazione, all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 2015 vince il Premio CRAMUM e nel 2021 viene selezionata per rappresentare l’Italia alla Bornholm’s Biennials for contemporary glass and ceramics. Dal 2008 ha partecipato a mostre in contesti italiani quali l’Archivio di Stato di Treviso, la Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare, il Magazzino del Sale 3 di Venezia e il PAC di Milano, Superstudio, mentre all’estero ha esposto all’Istituto Italiano della Cultura di Budapest, al Museum of Modern and Contemporary Art di Rijeka in Croazia, al Piramyda di Tirana e al Bornholm Art Museum in Danimarca. Nel 2018 e 2021 Gaggenau le dedica due mostre personali a Roma e Milano, città che ha anche ospitato la sua prima mostra personale “NOI” al Museo Francesco Messina nel 2017.

Gaggenau produce elettrodomestici professionali di altissima qualità ed è al contempo simbolo di innovazione tecnologica e design “Made in Germany”. L’azienda, la cui origine risale addirittura al 1683, rivoluziona l’universo degli elettrodomestici portando caratteristiche professionali nelle case di chi ricerca la differenza, anche nella cucina privata. Il successo delle sue soluzioni si fonda su una forte componente artigianale della manifattura e su un design senza tempo dalle forme pure e lineari, associati a un’elevata funzionalità e avanguardia tecnologica. Dal 1995 Gaggenau fa parte del gruppo BSH Hausgeräte GmbH, con sede centrale a Monaco, in Germania, ed è presente in più di 50 Paesi in tutto il mondo con 25 flagship store nelle principali metropoli, tra cui quelli di Milano e Roma inaugurati in collaborazione con DesignElementi rispettivamente nel 2018 e nel 2020.

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Gaggenau, Extraordinario, “S-Composizioni” Francesca Piovesan. Credits Francesca Piovesan.