DENTRO LA PITTURA di Cetty Previtera

di Valentina Tebala |

Il tuo approccio al gesto pittorico è un approccio arcaico, la tua predilezione per il colore assoluto, ad olio su tela, mi ha rifatto pensare alla tradizione del celebre cromatismo veneto del Cinquecento. Sei nata in Svizzera, ma sei siciliana e hai dichiarato di esserti sentita molto vicina – agli inizi del tuo percorso artistico – al Gruppo di Scicli. Ti domando, quindi, quanta sicilianità c’è nella tua pittura?

Cetty Previtera/ La sicilianità è nella mia pittura perché io sono siciliana. Sono nata in Svizzera per motivi siciliani, per problematiche legate al Sud, e credo, da ciò che mi raccontano, che la direzione sia stata sempre la Sicilia. Ho amato la terra in cui sono nata, le volte in cui ci sono tornata mi sono sentita a casa, ritrovandola verde come De Gregori dice, e fresca e piovosa e boschiva; l’ho guardata sempre come una che appartiene al Sud, non come una straniera. Ho studiato e scoperto la pittura con due Maestri del Gruppo di Scicli: è stato un incipit forte dal quale lentamente tento di rendermi autonoma, ma vi è in loro e in alcuni altri pittori di quella scuola un lavoro talmente importante che non posso che considerarlo il dono più grande che potessi ricevere per la mia formazione. Il tonalismo a cui accosti la mia pittura mi fa arrossire, il tuo pensiero obiettivo riguarda il mio modo di procedere, sì, io non ci avevo mai pensato. Del resto la pittura è una storia incessante e senza pause, cambia aspetto nel tempo e nello spazio, va dalle immagini rupestri ad oggi, si presenta sotto forme dissimili e contraddittorie, ma è fatta di colore e pennellate, la si riconosce sempre, se ha buone radici. Mi definisco pittrice arcaica, ciò riguarda la purezza del gesto a cui anelo e da cui la pittura non può prescindere, e questo la rende contemporanea sempre. È difficile, per niente scontato, ma è l’unico modo per viverne e farla proseguire. Sento che anche la Sicilia è così, arcaica e viscerale.

Ad ispirare lo sguardo di un pittore, spesso, c’è una maestosa montagna. Penso alla mitica montagna Sainte-Victoire di Cézanne, ai crinali montuosi sul Lago Maggiore dipinti da Boccioni negli ultimi mesi della sua vita, alle Alpilles ammirate da Van Gogh a Saint-Rémy. Per te una presenza costante è la montagna Mongibello (in dialetto siciliano, Muncibeddu), il vulcano Etna. Mi racconti come vivi, e dunque dipingi, il “tuo” territorio?

CP/ La Montagna sta proprio qui sulla mia testa, ci sono talmente sotto che mi devo allontanare per vederla bene. La vedo e sento casa, una madre natura maestosa, potente e pur sempre rassicurante. Su in cima mi sento sulla luna, piccola piccola in ogni caso. Da vicino è bella, sono belle anche le pietruzze che cadono dal cielo quando erutta. Fastidiose, ma affascinanti come poche cose. In realtà l’ho dipinta poco, mi sento quasi manchevole alla tua domanda, se penso alle montagne che mi ricordi. Ho avuto occasione, per la mostra “Attorno a Van Gogh” (curata da Marco Goldin a Padova nel 2021), di lavorare a dei d’après sulle Alpilles di Vincent e molti, con mio stupore, hanno visto l’Etna nelle mie montagne. Io parto solitamente dal mio e dal suo interno, attraverso la Montagna dai suoi boschi, e da lì nasce la pittura come da dentro i suoi rifugi.

Un lavoro pittorico immerso nella natura, né astratto né figurativo, ma realistico – “realismo informale” lo avevi già definito. La tua è una pittura di rappresentazione o di interpretazione? Cosa è più importante trasmettere con la pittura?

CP/ La realtà è sempre stata il mio punto di partenza nella pittura, ma finora non mi è mai interessato descrivere le cose. Forse nemmeno interpretarle. Anzi, di certo no. Credo che chi dipinge sia autore, non interprete. Autore, e urgentemente autrice, di una realtà nuova, che infine prescinde dal suo punto d’origine. L’autrice vive dentro il mondo, lo guarda, lo osserva, spesso lo intravede e comincia a cercare motivi e soluzioni. Può trattarsi anche di visioni oniriche. Quando mi sveglio col dolore reale dovuto a ciò che è successo in sogno, non posso che accettare il dono della continuità della realtà nel sogno. Quando la pittura è sulla tela, essa non ha a che fare con la realtà visiva, né che sia astratta né che sia figurativa, il “realismo informale” credo sia proprio questo, il legame imprescindibile tra la realtà ispiratrice e la creazione personale dell’autrice. Che sia pura, la pittura, in continuità con il corpo di chi dipinge, credo sia la cosa più importante.

Nel 2022 hai preso parte al Simposio di Pittura organizzato da Luigi Presicce presso la Fondazione Lac o Le Mon, e hai vissuto l’esperienza di pittura en plein air di Landina a cura di Lorenza Boisi. Cosa rappresenta per te il confronto diretto e la condivisione dell’esperienza pittorica con altri artisti?

CP/ Il confronto e la condivisione pittorica, e del tempo e dello spazio, sono per me fondamentali quanto la mia necessità di solitudine. Cerco l’altro quando sono sola, lo aspetto con curiosità e desiderio, e attendo con emozione il momento della solitudine quando sono con l’altro. Per compensare, per condividere, per essere e per avere. Sentire una normalità differente e condivisa, fatta di accettazione ma anche di scontro, è forte stimolo. Le opere nate in residenza sono per me molto diverse da quelle nate in studio, forse sono più leggere, più giocose. Il lavoro che si fa in residenza è più legato alla relazione con gli altri artisti, le opere ricevono stimoli rumorosi, opinioni silenziose, è tutto un susseguirsi di momenti di creazione non soltanto pittorica. Si crea lo spazio in cui si convive, i sapori in cucina, una vita d’artista condivisa. È bellissimo.

Cosa ne pensi dello stato della pittura italiana contemporanea?

CP/ La differenza che percepisco, in termini espositivi e curatoriali, tra la pittura insulare e quella del resto d’Italia, limita molto la mia percezione della pittura italiana in un quadro complessivo, ma sicuramente vedo una buona pittura. Sento una purezza in molte compagne e compagni di viaggio, hanno tanto da dire. Direi che la pittura italiana contemporanea, definendola come giustamente le spetta, ha ottime autrici e autori, ma infine il suo punto di svolta sembra essere sempre l’estero. Perché l’Italia non concede molto agli artisti, forse nulla in termini di garanzia, e anche se la pittura è buona, ha salde radici, fatica sempre a mostrarsi bene, con dignità. Spesso molto spazio e sostegno è riservato ad artiste e artisti stranieri, anche meritevoli di certo, e con cui il confronto è sempre necessario, ma che infine senza volere rendono la visibilità italiana sempre più difficoltosa. Allora si guarda all’estero, da cui sembrano arrivare notizie migliori. Sarebbe meglio poter pensare un mondo dell’arte senza troppi confini e distinzioni di nazionalità, dove le pari opportunità sono occasioni di lavoro normale per tutte e tutti.

Dall’alto: SUNDAY, 2022. Olio su tela, 90×120 cm. DALLE RADICI SIAMO BOSCO VERSO IL CIELO, 2021. 200×300 cm. CON VINCENT. DENTRO LA MONTAGNA, 2020. 85×90 cm. Per tutte courtesy dell’artista.

 

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