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MA CHI ME LO FA FARE?

Matteo Attruia                                                                    

– Gregorio Raspa

Gregorio Raspa/ Matteo, la scrittura-scultura realizzata col neon è il “segno” che maggiormente caratterizza la tua ricerca. Quando e come nasce il tuo interesse verso questo tipo di “materia”?

Matteo Attruia/ Il fascino per le lettere luminose mi accompagna fin dallʼinfanzia. Ricordo ancora, con qualche errore di memoria – sai, lʼetà… – i neon dei bar, le insegne delle attività commerciali – che ancora mi attirano – e, naturalmente, i primi approcci alle scritture di Kossuth e Nannucci. Da allora molti artisti mi hanno coinvolto e incuriosito. Solo nel 2008/09 ho avuto la possibilità di produrre il mio primo neon (Ave Maria) e da allora non ho mai smesso di utilizzarlo come mezzo espressivo…

GR/ Employee of the Month è il titolo del tuo ultimo ciclo di lavori composto da 12 neon, l’uno diverso dall’altro, ma strettamente legati tra loro. In esso proponi una riflessione sullo status dellʼartista, la sua sostenibilità economica. In qualche modo, costruisci un sofisticato gioco di ruolo. Me ne vuoi parlare?

MA/ La riflessione nasce dallʼesigenza di trovare una soluzione. Il quesito è strettamente legato al tema della sussistenza, alla possibilità di continuare a svolgere questo lavoro. Il 2017 si è presentato con un conto da pagare molto alto. Volevo stabilire un rapporto evidente, dichiarato, tra la necessità di unʼentrata fissa – in denaro – e la volontà di continuare a fare lʼartista. Il ruolo del collezionista, in questo caso, risulta determinante ed è responsabile della riuscita del progetto intero, tanto quanto lʼartista. La sfida è stata quella di trovare dodici “datori di lavoro” disposti ad investire nel mio lavoro.

GR/ Mi ha molto incuriosito la modalità di determinazione del valore, applicabile per la vendita, di ogni singola opera del progetto. In Employee of the Month il prezzo diventa a tutti gli effetti parte integrante dell’opera, elemento che, nel suo configurarsi, assume una valenza concettualmente complementare all’estetica dei lavori. Cosa racconta il pragmatismo – un po’ ironico, un po’ provocatorio – di una simile scelta?

MA/ Il prezzo dellʼopera è stato il punto di partenza, generativo di tutto il progetto. Ho accettato che il salario medio di un impiegato fosse ciò di cui avessi bisogno mensilmente, e così è stato. Il collezionista – o acquirente in questo caso – si trova a riconoscermi un vero e proprio stipendio avendo in cambio da me il risultato di ciò che ho scelto come lavoro, e cioè unʼopera. Employee of the Month (riconoscimento che solitamente viene conferito per meriti lavorativi ad un proprio dipendente) genera un cortocircuito di significati, appartenendo non più al dipendente ma, in questo specifico caso, al “datore di lavoro”. Ogni neon è diverso perché relativo ad uno specifico mese. Così per dodici mensilità. A questo proposito rimando al testo di Daniele Capra, co-responsabile del progetto.

GR/ A ben vedere, con Employee of the Month non è la prima volta che rifletti sul ruolo socio-economico dell’artista. Seppur in modo differente, ciò accade – ad esempio – in opere come Beato Te o Vendo Oro

MA/ Per Beato Te non cʼè alcuna relazione, ma in altri lavori il rapporto con il denaro è evidente. Penso sì a Vendo Oro, ma anche a Wishes, La Svegas o al più recente (No) Profit. Sinceramente non ho mai pianificato un intervento così strettamente collegato ad uno specifico tema. Mi ci sono trovato coinvolto e non ho fatto nulla per evitarlo. Non escludo di continuare, ma nemmeno di fermarmi qui.

GR/ Al di là delle opere realizzate col neon, il tuo lavoro sembra espandersi in direzioni differenti, prediligere una multimedialità trasversale. All’interno di una produzione così varia, la scrittura e la parola assumono – quasi sempre – un ruolo primario. Se letta in quest’ottica, ogni tua scelta sembra assecondare l’arguzia di una spiccata sensibilità semantica. È soprattutto in quest’ultima che mi sembra di riconoscere il filo conduttore di tutta la tua ricerca…

MA/ Lo prendo come un complimento. Grazie!

GR/ In molte tue opere instauri un libero gioco di citazioni e corrispondenze. Il lavoro di celebri artisti diventa il pretesto per una re-invenzione. Guardando a queste esperienze, come ti poni rispetto al tema dell’unicità – o se preferisci della riproducibilità – del gesto creativo?

MA/ Spesso le esperienze degli altri sono dei punti di partenza per sviluppare le proprie. Forse anche nellʼarte è così. In realtà, credo che una volta prodotte, le opere appartengano a tutti e quelle più riuscite pongano dei quesiti, instaurino un dubbio nella mente di chi le guarda, di chi le fruisce. Il mio tentativo è quello di aggiungere dubbio a dubbio.

GR/ Proprio partendo da una (quasi) citazione di Mario Merz, nel 2013 hai realizzato la scritta a filo neon Perché fare?. Io me lo chiedo spesso. Tu, invece, nel frattempo hai trovato una risposta al quesito?

MA/ Anchʼio me lo chiedo spesso, ma forse la domanda più frequente è: Ma chi me lo fa fare? Ad entrambe, la risposta rimane sempre la stessa.

Dall’alto: QUISOSTARE, 2016. Incisione su muro, dimensioni variabili. EMPLOYEE OF THE MONTH (JAN), 2017. Filo neon, 41×70 cm. Per entrambe courtesy dellʼartista.

© 2017 BOX ART & CO.

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