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SENZA SEGUIRE LA TRAMA

Iva Lulashi                                                                            

– Gregorio Raspa

Gregorio Raspa/ Iva, il tuo modus operandi prevede sempre un preliminare lavoro di selezione effettuato su immagini prelevate da film, documentari e altri supporti video. Poi, cosa succede?

Iva Lulashi/ Una volta selezionati i frame di mio interesse da video di varia natura, li suddivido e raccolgo in cartelle, donando loro un ordine. Da quel momento in poi parte il mio vero lavoro. Riguardo le immagini che ho raccolto cercando di comprendere “cosa” realmente mi ha colpita nel momento in cui ho deciso di “catturarle”. Il meccanismo che si innesca costituisce una testimonianza del processo della mia crescita ed è, quindi, il risultato dell’unione di due momenti distinti: uno di riflessione sorto durante la fase di ricerca – più preciso e definito – e uno di casualità e incertezza intimamente legato al materiale che esamino.

GR/ Più volte al cospetto dei tuoi dipinti mi è sembrato di riconoscere gli elementi propri di una sensibilità umana e linguistica già sperimentata, ad esempio, da Pasolini nelle sue pellicole; o il fascino dell’iconografia voluttuosa e nostalgica costruita da Guadagnino nelle sue opere. Quanto, in realtà, i riferimenti citati ti appartengono? Quali, invece, si ricollegano con maggiore aderenza al tuo lavoro?

IL/ Gli autori che citi, come le opere di altri registi che apprezzo, non hanno un legame diretto con il mio lavoro ma arricchiscono il mio bagaglio cinematografico e mi aiutano a raffinare il mio gusto all’immagine. In realtà, i film da cui traggo i frame da trasporre nelle opere sono solitamente sconosciuti e svaniscono nella mia memoria. Per scelta, infatti, li guardo con il maggior distacco emotivo possibile, senza audio e senza seguirne la trama.

GR/ Dell’aspetto cinematografico, il tuo lavoro custodisce anche una naturale propensione alla narrazione. Se letta nel suo complesso, in fondo, la tua produzione sembra il frutto di un unico, monumentale, esercizio di found footage. In quest’ottica, quanta parte della storia originale, cristallizzata nel singolo frame, “resiste” alla tua opera di trasfigurazione pittorica?

IL/ Le immagini su cui si basano i miei dipinti sono estratte da filmati in origine analogici, e solo successivamente riversati in digitale e caricati in bassa risoluzione su siti come YouTube. A quel punto molti dettagli sono già scomparsi…

L’approssimazione delle immagini è quindi dovuta alla qualità del materiale messo a disposizione dalla rete, mentre la mia elaborazione è guidata dalla voglia di riappropriarmi di immagini appartenenti ad una memoria culturale collettiva. Integro le immagini e le personalizzo aggiungendo elementi estranei o togliendo loghi e sottotitoli. Poi, attraverso la rielaborazione pittorica, creo un cortocircuito di significati, sezionando le anatomie ed eliminando tutti gli aspetti retorici della scena, che assurge in tal modo a “concerto” di frammenti corporei al limite del ridicolo. Grazie ai miei interventi, tra l’opera finale e i video di partenza vi è dunque una distanza che annulla ogni componente narrativa.

GR/ Nel tuo lavoro ricorrono con frequenza immagini erotiche o legate ad un allusivo e subliminale immaginario di sensualità. In molti dipinti tali elementi confluiscono all’interno di un’atmosfera surreale, in cui la dissolvenza delle figure crea ambiguità visive e concettuali. Come è nata l’idea di orientare il tuo lavoro verso simili contenuti e coniugarli a temi più articolati e compositi, come quelli – ad esempio – di carattere storico?

IL/ La presenza di queste atmosfere nasce dalla necessità di liberare il mio ciclo pittorico sul periodo comunista albanese dalla censura dell’erotismo, riflettendo contemporaneamente su due prospettive narrative: da un lato la dimensione pubblica della “corretta” vita socialista, dall’altro la dimensione privata, di cui fa parte, appunto, il desiderio sessuale. La scelta di determinate immagini per realizzare il ciclo di lavori tuttora in corso non è dunque un puro vezzo formale o contenutistico, ma una sorta di rivendicazione del libero arbitrio connesso all’individualità.

GR/ Le esperienze e i temi appena citati sono posti al centro del tuo ciclo pittorico Eroticommunism. In esso il repressivo e autoritario clima politico instaurato da Hoxha in Albania viene ri-letto da una prospettiva inedita e spiazzante. Questo ciclo dona anche il titolo alla tua ultima personale milanese. Me ne parli?

IL/ In molti casi l’allestimento di una mostra diventa la creazione di un unicum dato dalla composizione di dipinti di diverse dimensioni. Eroticommunism inizialmente era un “progetto-opera” composto da nove dipinti che nel tempo, grazie a nuove riflessioni, è arrivato a comprenderne più di quaranta, tutti riuniti in questa mia personale. Eroticommunism è anche il primo lavoro in cui coesistono, trovando pieno compimento, le mie ricerche legate al periodo comunista albanese e l’erotismo che stava naturalmente emergendo nel mio lavoro.

GR/ Negli ultimi anni hai sperimentato nuove condizioni pittoriche, utilizzando come supporti per i tuoi lavori vassoi, semplici tessuti, piastre e altri elementi di natura oggettuale. Dove può condurre questa ricerca sui materiali?

IL/ Se le fonti utilizzate per i dipinti rappresentano un richiamo indiretto all’esperienza personale, è altresì vero che oggetti come un centrino ricamato da un familiare, un vecchio macinino per il caffè o una stoffa color porpora non possono che rimandare ad una memoria concreta/tangibile. Tutti questi sono, ad esempio, elementi che ho prelevato dal reale per incorporarli nelle tele o impiegarli come supporto stesso per la pittura, allo scopo di rendere evidente il legame inscindibile tra le vicende individuali e la storia collettiva e per rileggere quest’ultima in chiave esistenziale.

Dall’alto: È INVISIBILE E NON SI SENTE L’ODORE, 2016. Olio su tela, 25×30 cm. Courtesy of Collezione Giuseppe Iannaccone. VIZI MINORI, 2018. Olio su tela, 70×80 cm. Courtesy of Prometeogallery.

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