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LA MIA ARTE È UNA PREGHIERA UNIVERSALE

Alberto Di Fabio

– Sabino Maria Frassà

Alberto Di Fabio è uno tra gli artisti italiani più famosi al Mondo. È una persona anche molto generosa: cominciò a lavorare con me anni fa, quando ero all’inizio dell’attività da curatore. È uno di quegli artisti a cui devo molto di quello che sono adesso. È perciò un onore avere la possibilità di tornare ancora una volta a parlare con lui e far conoscere ancora di più il suo “mondo”. L’ho intervistato nel nuovo spazio Gaggenau a Roma in occasione della presentazione del volume In-Material, promosso dal brand tedesco e Cramum, per documentare le mostre milanesi, tra cui anche la sua mostra personale “Trascendenza” che ho avuto il piacere di curare. Tanto è stato detto sul suo lavoro, oggi raccontiamo l’evoluzione della sua ricerca in relazione ai Maestri che l’hanno maggiormente influenzato.

Sabino Maria Frassà/ Il tuo percorso artistico si è sempre caratterizzato per una forte coerenza, non sei mai stato ripetitivo, ma hai sviluppato un’idea centrale, un tema dall’inizio ad oggi, sbaglio?

Alberto Di Fabio/ Mi sveglio ogni giorno e ringrazio il Cielo per il lavoro che faccio. Non è sempre facile per una persona che come me va ogni giorno in studio e si impone di starci ore. Essere creativi è un lavoro faticoso, l’ansia della tela bianca, di quel che si vuole dire senza parole è forte, ma ci torno ogni giorno da trent’anni. Amo tutto il mio lavoro e le mie opere, che mi circondano in studio: dalle prime degli anni ’90 a quelle più recenti. Sono cambiato tanto, ma sono sempre rimasto Alberto Di Fabio. Paradossalmente è più difficile rimanere coerente oggi, che sono più noto e che ho più richieste di produrre, ma io dico no, ricerco la perfezione, non la quantità. Ho imparato ad amare e rispettare in primo luogo il mio lavoro e a dire anche a malincuore a volte dei no. Non ragiono mai mosso dall’oggi, ma dal domani.

SMF/ Il tuo lavoro affascina perché è fuori dal tempo, ed è forse proprio l’aspetto di contemporaneità del tuo lavoro che più apprezza la critica e il collezionismo di tutto il Mondo. Il tuo essere e raccontare l’essenza delle cose travalica il tempo, ma si nutre di tanti spunti del passato. Si vede nel tuo linguaggio visivo un rispetto e un amore per alcuni Maestri del passato. Raccontaci di questi Maestri.

ADF/ I miei primi Maestri sono stati senz’altro i miei genitori e la mia famiglia. Sono un artista cresciuto in bottega con mio padre artista, che mi ha sempre sprona- to a continuare questo lavoro. Le mie sorelle – una medi- co e l’altra poetessa – lo seguivano nella comunicazione e nelle mostre, io nella pratica quotidiana. La mia capacità tecnica viene da lì, ma è stata mia madre – insegnante di matematica e scienze naturali – a contagiarmi con il suo amore per l’analisi scientifica. Infatti il mio lavoro è spesso interpretato come ricerca del sapere, di quel “chi siamo” e di quel “dove andiamo” che caratterizza da sempre l’essere umano. Poi a livello formale ovviamente negli anni ho amato la plasticità di Sironi e la metafisica di De Chirico, ma anche il ritmo e la matericità degli statunitensi Motherwell e de Kooning.

SMF/ Non hai citato Jackson Pollock eppure il dripping è una tecnica spesso da te impiegata…

ADF/ Jackson Pollock è un grande Maestro, ma la distruzione dell’immagine non mi appartiene. Da sempre compongo immagini e, se per il dripping è vero che siamo tutti figli di Pollock, un artista è molto altro dallo strumento con cui dipinge. Il mio dipingere non ha nulla di distruttivo. La mia arte è una preghiera universale per elevarsi, per cogliere e rappresentare quell’essenza che l’uomo non sempre riesce ad afferrare. Impiego, non a caso, tecniche di rilassamento e meditazione, dipingo parallelamente alla tela perché arrivi più sangue al cervello, sento musica classica e lavoro in solitudine.

SMF/ In trent’anni di percorso spirituale e di esercizio costante della meditazione come sei cambiato e come si è palesata questa tua trasformazione e/o introspezione nella tua arte?

ADF/ Oggi voglio raccontare e rappresentare la materia di cui siamo fatti al 96%, ovvero di materia invisibile, l’antimateria. All’inizio, negli anni ’90 ero ancora interessato alla crosta terrestre, al Pangea; rappresentavo le montagne e l’origine del nostro mondo, raccontavo come siamo un tutt’uno con la Terra. Sono gli anni del plasticismo ripreso da Sironi, del silenzio del tempo vuoto di De Chirico. Poi non mi è più bastato e ho guardato in alto al cielo. Non ho più potuto rappresentare la Terra se non come parte di un tutto più grande, dell’Universo. E più studio più il mio lavoro è ispirato e spirituale. Dalle montagne, alle stelle, all’universo all’oro, alla luce e ai Mandala protagonisti delle mie ultime opere. Così capita che in passato pensavo al mio lavoro in grandi dimensioni, ma più vado avanti e più mi libero da tale limite: il piccolo e il grande sono un punto di vista umano, non dell’essenza delle cose. L’essenza non ha misura.

SMF/ Da quando ti conosco parli della tua arte per i posteri, della volontà non solo di essere ricordato, ma di lasciare qualcosa al Mondo di domani. Cosa vorresti lasciare? Quale lavoro è la tua preghiera per il futuro?

ADF/ Ti stupirà da un uomo che ha fatto della raffigurazione e dell’immagine la sua vita, ma se penso a cosa lasciare ai posteri del mio piccolo passo nel percorso dell’umanità è un libro che spieghi le mie opere. Ho passato la mia intera esistenza a sintetizzare nelle opere lo sforzo e il bisogno dell’essere umano di elevarsi, di non perdersi nelle bassezze quotidiane, di vedere le opportunità e non i limiti. Dietro al mio mondo artistico c’è un mondo spirituale, che vorrei donare ad un Mondo sempre più caotico e concentrato solo sull’oggi.

Dall’alto: CORPO ASTRALE CORPO FISICO, 2015. Acrilico su tela, 200×130 cm. INCONTRI TRA MONTAGNE, 1994. Acrilico su carta, 90,5×70 cm. Per entrambe courtesy dell’artista.

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