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ALLA FINE DI UNA LUNGA NARRAZIONE

Maurizio Bongiovanni

– Gregorio Raspa

Gregorio Raspa/ Maurizio, qual è la tua genealogia artistica? Da dove discende l’idea del tuo lavoro?

Maurizio Bongiovanni/ Direi che tutto proviene da un certo sentimento per la vita e per autori come Bacon, Ensor, Kirchner o De Pisis, che maggiormente hanno segnato la mia riflessione sulla pittura. Il resto è figlio di suggestioni letterarie generate da opere come Il ritratto di Dorian Gray, La morte della bellezza e tutti i libri di Calvino.

GR/ Nel corso del tempo il tuo lavoro ha conosciuto fasi diverse e attraversato processi, anche radicali, di rimodulazione estetica e concettuale. Penso, ad esempio, al tuo passaggio dalla fotografia alla pittura o a quello, continuo e combinatorio, dall’astrazione alla figurazione. Quali sono le principali direttrici teoriche che hanno ispirato un simile percorso?

MB/ Mi piace farmi trasportare da certi amori. La fotografia e la pittura sono delle lingue per me vive. Nello studio, e nell’approfondimento della loro grammatica, ho trovato gli strumenti per comunicare la mia storia. Ho sempre vissuto i passaggi di cui parli come degli atti di coraggio, intrapresi con la consapevolezza di abbracciare rischi e incorrere nel fallimento. Tutto ciò mi ha dato modo di giocare liberamente con la pittura e accettare una sfida in cui, a volte si vince, altre volte si perde.

GR/ In quest’ottica, se da un lato il tuo lavoro veicola un’identità fortemente legata agli strumenti e alle tecniche della tradizione pittorica, dall’altro nasconde un rapporto – ugualmente intimo – con le prassi più innovative di costruzione di un dipinto basate, ad esempio, sul preliminare utilizzo dell’immagine digitale. A tal proposito, mi parleresti del modo in cui ti approcci al soggetto e, più in generale, del tuo modus operandi?

MB/ Per approdare a un quadro utilizzo metodi differenti. A volte, il viaggio inizia grazie ad una semplice macchia sulla tela o sul foglio da disegno. Vivo questo pro- cesso generativo dell’opera come una sfida con me stesso. Altre volte, invece, come suggerisci tu, progetto i miei quadri su una dimensione virtuale. È una cosa che, per ragioni diverse, amo fare molto. Col tempo, infatti, mi sono accorto di poter creare, attraverso la modalità digitale, delle vere e proprie “presenze”, elementi quasi spettrali. E non ti nascondo che la cosa mi entusiasma. L’atto di dipingere, e portare in vita quanto concepito in digitale, ha qualcosa di alchemico, è un processo che sento profondamente giusto per la mia storia.

GR/ Il tuo legame con l’immagine e il disegno digitale assume un ruolo esplicito – e concettualmente fondante – anche nella ricca serie di dipinti Bird Rib. In essa hai rappresentato diverse specie di volatili sperimentando una pittura di confine, in cui la figurazione diluisce progressiva- mente nella composizione astratta. Come è nata l’idea del suo sviluppo?

MB/ L’idea di una lunga serie pittorica sui volatili è nata dal mio semplice interesse per loro. La passione si accese con l’approfondimento di libri come il Volario di Alfredo Cattabiani e Il verbo degli uccelli di Farīd Attār. I volatili, e la loro ricca rappresentazione nei secoli, hanno sempre nutrito la mia immaginazione. Penso che la necessità di raffigurarli sia sorta riflettendo sulla loro perdita simbolica, generando in me l’idea di un freddo crollo cromatico che può tradurre in un codice a barre anche un sentimento divino.

GR/ Il tema dell’identità, anche di genere, appare sempre più centrale all’interno della tua opera, oggi basata sulla lussureggiante e voluttuosa figurazione – chiaramente ispirata alla statuaria greca – di soggetti smarriti nelle loro inquietudini. Mi parleresti, più nello specifico, di questi lavori?

MB/ Il dipinto Disabled Heroes del 2018 ha inaugurato una serie, dalle diverse ramificazioni, che insiste sul tema del fallimento. Questo colossale argomento “benefico” mi interessa molto, perché capace di generare della polvere da sparo in grado di lacerare il tessuto dell’essere. In tal senso, i miei personaggi sono volutamente situati alla fine di una lunga narrazione.

GR/ Specie se paragonato con quello dei lavori precedenti, il potenziale mitopoietico di questo ciclo appare come più evidente e strutturato. Quanto conta, nelle tue intenzioni, l’aspetto narrativo di cui parli?

MB/ I personaggi che arrivano e bussano alla mia mente sono già immersi in un impianto narrativo complesso. Io mi limito a facilitare, per mezzo della pittura, la loro presenza.

GR/ Nei tuoi lavori più recenti trionfano l’erotismo – anche esplicito – e il corporeo. Che ruolo ha la sessualità nella tua opera?

MB/ Trovo interessante esplorare l’erotismo nella società attuale. Mi interessa approfondire il desiderio di possesso che lo alimenta, sempre più simile a quello delle banali esperienze di consumo. Mi piace parlare dell’amore, ma preferisco trattare il sesso, che ci riunisce tutti su un piano ancestrale, anche se de-potenzializzato.

GR/ Al cospetto del tuo lavoro, verrebbe quasi naturale interpretare la libertà suggerita dall’immagine dipinta come un elemento di distanziamento dal reale, in grado cioè di conferire all’opera l’autorità di imporsi in un rapporto alla pari col mondo, senza più subirne le pressioni o i condizionamenti. Tuttavia, il frequente ricorso alle tematiche del queer, e la tendenza, quasi esasperata, allo psicologismo proiettano la tua opera in una dimensione sociale. In tal senso, è corretto riconoscere alla tua arte un valore – seppur non esclusivo – di impegno o militanza?

MB/ Non penso di avere un animo impegnato, incline alla lotta o alla militanza, anche se, a volte, mi concedo il piacere di alzare il volume come forma di sfida. Esagerare, o mettere in scena visioni passionali, non temere il ridicolo, e avere la libertà di travestirsi, mi dà una grande energia e mi offre l’opportunità di mutare continuamente posizioni e prospettive.

DISABLED HEROES, 2018. Olio su tela, 100×150 cm. Courtesy dell’artista.

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