INTERVIEWS

IL VUOTO È LA FORMA

Sebastiano Dammone Sessa

– Gregorio Raspa

Gregorio Raspa/ Sebastiano, comincerei dal metodo. Mi interessa capire come, nel tuo lavoro, tutto ha inizio. Affronti studi particolari prima di un progetto o ti lasci guidare dall’operatività?

Sebastiano Dammone Sessa/ Tutto parte sempre dal supporto, dalle sue caratteristiche, dalla sua conformazione, questo determina immediatamente il filone di ricerca che mi interessa approfondire. I formati sono per me molto importanti. Il rapporto tra la base, l’altezza e lo spessore, ad esempio, deve essere stabilito prima, è una questione di armonia. Lo stesso vale anche per gli angoli, il verso delle venature o la grammatura della carta. Non ci sono nuove idee, ma solo cicli di ricerca che si susseguono l’uno con l’altro rigenerandosi continuamente.

GR/ Nel corso degli anni hai condotto una lunga e attenta riflessione sui materiali, sperimentando – tra gli altri – l’uso di diversi pigmenti e collanti, del ferro, del legno e della carta. Soprattutto con quest’ultimo elemento sembri aver sviluppato un legame privilegiato, ottenendo esiti tecnici e formali talvolta sorprendenti. Puoi dirmi qualcosa, in termini più generali, sul ruolo che la carta occupa nell’ambito della tua prassi operativa?

SDS/ Ho un rapporto particolare con questo materiale e ancora oggi mi affascina la sua natura. La carta spesso viene considerata solo in qualità di supporto, uno dei tanti materiali utili nella costruzione di qualcos’altro.
A mio avviso essa stessa è opera, racchiude in sé tutti gli aspetti formali che ricerco in quello che faccio. È una materia organica in continuo movimento, contiene segno, sostanza, colore, trama.

GR/ La tua è, in primo luogo, una ricerca condotta sul linguaggio e le potenzialità dei suoi strumenti. In quanto tale, essa mantiene un’identità astratta, incline alla speculazione teorica. Ciononostante, molte tue opere sembrano custodire il fascino di un pensiero intimo, che rimanda necessariamente all’esperienza del quotidiano. Quanto conta nel tuo lavoro il riferimento con il reale?

SDS/ Il riferimento con il reale è costante. Sembrerà strano, ma ne ho bisogno per non perdermi.
Ho bisogno di punti, di coordinate ben precise che sistematicamente ignoro, ma il fatto che ci siano mi dà sicurezza. Cerco l’armonia, l’identità dell’aderenza che ritrovo molto spesso nel paesaggio e nell’architettura della natura.

GR/ Mi parleresti della tua ricerca segnica? È un tema che, specie se declinato in riferimento alla tua produzione più recente, trovo molto interessante.

SDS/ Il segno è una costante, me ne servo per delimitare i margini/argini di ciò che voglio velare. Rappresenta una presa di posizione importante, perché diventa una scelta indelebile destinata a condizionare l’aspetto di tutta la superficie dell’opera. Questa situazione è irrimediabile e mi costringe quindi a trovare soluzioni formali, percettive – e spesso anche tattili – sempre diverse.
Tutto ciò mi porta al confronto con variabili multiple, con combinazioni apparentemente incompatibili tra di loro. Ogni scelta è un rischio da correre, una sorta di sfida che mi stimola molto.

GR/ Molti tuoi lavori – penso, ad esempio, agli esemplari della serie Tracce – sembrano costruiti per esplorare il territorio dell’ignoto, strutturati sfruttando l’imprevisto e le sue possibilità. Imprescindibile per la loro definizione appare – mi sembra di capire – il valore ideale, prima ancora che logico e formale, da te attribuito all’immagine e allo spazio. In quest’ottica, è come se la tua ricerca inseguisse il senso della trasformazione delle cose, il fascino della mutevolezza. È realmente così?

SDS/ Assolutamente sì, la mutevolezza delle cose, dell’uomo e della natura è un tema ricorrente nei miei pensieri. L’idea di lavorare con una materia organica, come ad esempio la ruggine, è una sfida che so già che perderò ma che con tenacia tento di gestire. Non c’è mai la volontà di riprodurre qualcosa, osservare le conseguenze delle mie azioni mi aiuta a misurare il tempo.

GR/ Nel tuo approccio scultoreo, sempre più orientato verso la sintesi espressiva e la valorizzazione della componente progettuale dell’opera, appare fondamentale la relazione con lo spazio reale. Mi parleresti di questo aspetto e del modo in cui interagisci con il vuoto, componente essenziale del tuo codice scultoreo/installativo?

SDS/ Il vuoto è la forma, il vuoto detiene la forma. Me ne servo per descrivere i miei pensieri, lo ricavo dai miei esuberi: i fori, i chiodi così come i segni generano il vuoto e, nel mio caso, danno vita alla forma.

GR/ Il rapporto tra opera e ambiente connota in maniera decisiva anche il tuo linguaggio pittorico. Penso alle ampie installazioni modulari ottenute con il ciclo degli Appunti, in cui la sagomatura variabile dei supporti aggiunge una componente ritmica a quella spaziale. Come nasce la logica organizzativa di questi lavori?

SDS/ Ogni singolo pezzo è concepito come una forma chiusa. Ognuno di essi rappresenta una sorta di annotazione, ecco perché il nome Appunti. In quel periodo sentivo l’esigenza di determinare una forma di equazione, di rapporto ideale tra il colore e il suo peso specifico, tra il segno e la forma, tra la materia e il materiale, tra il gesto e la sua traduzione in superficie.

GR/ Il tuo approccio spaziale, l’organizzazione della composizione basata sull’unità del modulo, l’attenzione per la materia intesa come elemento strutturale, sono tutti elementi che avvicinano il tuo lavoro al mondo dell’architettura. Hai mai pensato – o stai pensando – di cimentarti in quest’ultimo ambito?

SDS/ Mi affascina quello che l’architettura rappresenta: una sfida all’ingegno umano che dovrebbe essere densa di valori etici e antropologici. Credo che le arti visive debbano necessariamente interagire con essa perché, per definizione, sono contenitore e contenuto.

Dall’alto: APPUNTI, 2016. Olio, ecoline su tavola sagomata, dimensioni variabili, part. Foto © Antonio Cilurzo. Courtesy Fondazione Rocco Guglielmo. Veduta della mostra “Tracce” 2018, a cura di Chiara Ronchini, CRAC GALLERY, Terni. Foto © Alberto Bravini. Courtesy dell’artista.

© 2020 BOX ART & CO.

NEWS

Archivio

SMALL ZINE da sempre si  connota per una linea editoriale sobria, rigorosa e per una costante attenzione alla qualità dei contenuti. Semplice, chiaro, immediato e di efficace fruizione. Un progetto che pone attenzione alla scena artistica contemporanea del panorama nazionale e internazionale, per andare alla ricerca di artisti interessanti, ma spesso privi di una concreta visibilità, e fornire loro opportunità di crescita professionale.

SMALL ZINE – Magazine online di arte contemporanea © 2024 – Tutti i diritti riservati.