INTERVIEWS

UNA QUESTIONE DI SEMANTICA

Francesca Migone

– Davide Silvioli

Rispetto a uno dei tratti maggioritari di tanta contemporaneità, che vede l’adozione di apparati linguistici prolissi per giustificare contenuti superficiali, la ricerca di Francesca Migone, dove i materiali – solitamente poveri – vengono sintetizzati fino all’ermetismo, catalizzando così una pluralità di significati, sembra muoversi in direzione opposta. Leggiamo, dalle sue parole, le proprietà distintive del suo lavoro.

 

Davide Silvioli/ Quali sono state le discipline fondamentali e i momenti più costruttivi della tua formazione?

Francesca Migone/ Sono stati svariati i momenti che mi hanno portato a quella che è la mia ricerca attuale. Sicuramente, è stato determinante per me avvicinarmi allo studio dell’arte contemporanea e delle pratiche legate alle installazioni multimediali, all’inizio dell’Accademia a Genova. Erano argomenti, per me, quasi del tutto nuovi, dato che non arrivavo dal liceo artistico e che mi hanno da subito affascinata. Ho anche avuto la fortuna di avere come docenti gli artisti Cesare Viel e Simona Barbera, oltre a Roberta Chioni, importante tessitrice, con la quale ho intrapreso uno studio parallelo dedicato alla tessitura: una tecnica meravigliosa e complessa, che accompagna la mia ricerca in modo costante. Indubbiamente, i miei precedenti studi legati al fashion design e alla moda, fatti sia alle scuole superiori che all’Accademia di Bologna, hanno molto influenzato quella che è la mia pratica, interiorizzando, in particolare, la necessità di comunicare con immediatezza un’idea.

DS/ Relativamente alla tua ricerca, quali sono gli obiettivi estetici che intendi perseguire e che cerchi di raccontare?

FM/ Trovo estremamente interessante quando un elemento, anche apparentemente poco significativo o semplicemente un dettaglio di un luogo, è in grado di narrare la complessità del contesto in cui si trova. Tentare di raccontare qualcosa attraverso un intervento minimo è sicuramente un punto fondamentale della mia ricerca, ragione per cui utilizzo spesso materiali poveri. Mi affascinano molto quegli oggetti manipolati in modo quasi spontaneo, con lo scopo di renderli funzionali per un qualche tipo di lavoro e che diventano, talvolta, dei residui abbandonati a terra. Sono molto attratta da questo tipo di estetica, che da una parte riesce a raccontare la storia di un oggetto e il contesto in cui è stato creato ma che dall’altra mi dà la possibilità di avere delle suggestioni, che sono invece legate al mio vissuto. Tento quindi di lasciare sempre questa parte di indefinito nei miei lavori, motivo per cui il tipo di lavorazione che eseguo sui materiali che utilizzo è sempre molto scarno e il più possibile essenziale.

DS/ Quali sono le circostanze, le condizioni e gli spunti che, generalmente, fanno sorgere in te le premesse per un’operazione artistica?

FM/ Inizio sempre da qualcosa che mi incuriosisce, qualcosa che mi domando, che vorrei indagare e che tento di spiegarmi attraverso la ricerca. Ci sono naturalmente problematiche che mi interessano più di altre, in particolare legate a dei luoghi o a delle situazioni. Talvolta, cerco qualcosa di specifico, ma è sempre la curiosità che mi fa iniziare un lavoro. Questa è la ragione per cui nei miei lavori c’è una parte molto importante legata alla ricerca, all’esplorazione e alla documentazione, che si intreccia poi a quelle che sono le mie impressioni e suggestioni.

DS/ Anche non necessariamente appartenenti alla storia dell’arte, hai dei riferimenti particolari?

FM/ Non è facile dirlo, ho diversi punti di riferimento ascrivibili a diversi ambiti. In questi ultimi mesi è stato fondamentale per me il testo Walkscapes, di Francesco Careri. Inoltre, la fotografia dà sempre un contributo importante al mio lavoro. Più che artisti o correnti artistiche di riferimento, è per me più semplice riferirmi a progetti o lavori specifici. Comunque, naturalmente, ci sono anche degli artisti che amo particolarmente, come Eva Hesse, Joseph Beuys e Luciano Fabro, oltre che tutto il lavoro di Maria Lai.

DS/ Ritengo che il tuo lavoro abbia la rara facoltà di esprimere efficacemente, attraverso forme minime, scenari complessi. Dove ti sta portando, attualmente, la sperimentazione?

FM/ Ti ringrazio molto. Al momento sto cercando di lavorare di più con lo spazio, come base di indagine della mia ricerca e in ugual modo come studio per creare una maggiore relazione e interazione tra gli oggetti che creo e l’ambiente in cui vado ad inserirli. Questo sia che si tratti di uno spazio espositivo, sia che si tratti di uno di un’altra tipologia. Inoltre, sto lavorando particolarmente sulla destrutturazione di diverse tecniche tessili tradizionali, non solo attraverso l’utilizzo di materiali differenti da quelli che normalmente si dovrebbero utilizzare, ma anche dal punto di vista della manipolazione, accentuando o decostruendo specifici passaggi tecnici.

Dall’alto: PERCORRERE LA CITTÀ, 2020. PORTUALE, 2019. Foto © Mattia Meirana. Per entrambe courtesy dell’artista.

© 2021 BOX ART & CO.

 

NEWS

Archivio