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IL DISEGNO ASSOLUTO

Omar Galliani

– Valentina Tebala

Valentina Tebala/ Spesso ci si rivolge a lei definendola “maestro”, un appellativo oggi forse démodé, ma che in effetti la riporta sulla stessa linea (il termine non è a caso, dato che di linee, tracciati segnici, si parla) e la accosta a grandi maestri del Rinascimento italiano, tra i quali cito, per via di alcune già dichiarate affinità, Leonardo, Raffaello, Correggio: maestri che hanno portato lo stile – e il disegno – italiano nel mondo. Un’impresa che lei, in tempi in cui l’arte e la concezione dell’arte sono totalmente cambiate, riesce a condurre magistralmente appunto. Le chiederei subito come giudica le sorti e lo stato di salute attuale del disegno, in Italia specialmente, e se ha stima in particolare del lavoro di qualche suo (anche molto giovane) collega…

Omar Galliani/ La parola “maestro” è sinonimo di una conoscenza tramandata o a volte soltanto rispettata per chi svolge un lavoro del cui valore si ha rispetto o a cui si riconosce una particolare abilità o originalità. In un tempo come il nostro in cui tutto si mischia e centrifuga sembra desueto e inusuale, ma nel mio caso, dato che mi ritengo fuori e dentro al tempo, questa parola diventa sinonimo di estraneità a una globalizzazione degli stili o dei linguaggi a cui sono certo e fiero di non appartenere. Insegno da tanti anni pittura in Accademia; in quella di Brera dove attualmente insegno ho diversi giovani allievi talentuosi che portano avanti nel disegno la propria ricerca creativa. Anche se oggi davanti alle più sconfinate tecnologie che l’arte contemporanea utilizza sembra anacronistica la parola “disegno”, le assicuro che il numero degli iscritti alla mia cattedra supera ogni immaginazione e hanno tutti poco più di vent’anni.

VT/ Parliamo ora di un altro tipo di segno grafico: quello alfabetico della scrittura, del testo, che compare nelle opere degli anni Settanta o nei Mantra degli anni Novanta; mentre nei “taccuini di viaggio” traspone impressioni ed emozioni vissute nei luoghi visitati in memorie visive. Che relazione c’è tra il disegno e la scrittura nei suoi lavori, e tra queste due tipologie segniche e l’esperienza del viaggio (fisico, mentale, spirituale)?

OG/ Alcuni giorni fa accompagnando due mie nipoti nel classico pellegrinaggio agli Uffizi mi sono soffermato davanti all’Annunciazione di Simone Martini dal cui gesto dell’angelo annunciante esce la nota frase rivolta alla Madonna in cui i caratteri in oro sono in rilievo quasi non bastasse la foglia d’oro ad evidenziare il valore dell’enunciato. Una sottolineatura, un rafforzativo dell’immagine che porta oltre la rappresentazione. L’uso del testo, della parola nei Mantra, ha questo duplice valore: a sinistra il testo d’Oriente a destra l’immagine d’Occidente in un confronto volutamente improbabile, volutamente contrastante. È la spiritualità contenuta nel codice delle parole in cui l’oro aspira all’assoluto solare confrontato con il bianco e nero d’Occidente del disegno, dove la realtà del quotidiano rivela i suoi aspetti contrastanti.

VT/ A proposito di mantra e di suggestioni orientali: come definirebbe il suo rapporto con l’Oriente?

OG/ Dalla fine degli anni Novanta in poi ho fatto diversi viaggi in Cina, Corea del Sud, India, Vietnam, per lavoro, per turismo. Non mi ritengo un conoscitore dell’Oriente ma piuttosto un viaggiatore con un quaderno in tasca, una matita o altri strumenti trovati sul posto. Un viaggiatore trasognato che non pensava di portare a casa tante piccole o grandi contaminazioni.

VT/ Dalle bellissime modelle sottratte al mondo patinato delle riviste, alle costellazioni di rose simbolo di bellezza indifferente allo scorrere del tempo. Che cos’è e che ruolo ha per lei la bellezza, e la sua rappresentazione, oggi?

OG/ Viviamo in un pantheon di immagini lanciate da orbite lontane e vicine dove non sempre è facile afferrarne i contorni e dire… bellezza. Esiste una bellezza apparente o attraente fatta spesse volte di mutazioni imposte dall’estetica indotta dai media lontani da un vero concetto di bellezza. Una bellezza addomesticata. Spesse volte le immagini di cui mi chiede viaggiano tra emisferi o galassie immaginarie e forse perché nella terribilità oscura dell’universo esiste un ordine di bellezza che non comprendiamo poiché troppo grande e infinita. Il mistero della bellezza e del suo contrario restano pertanto senza risposta.

VT/ Chiudiamo menzionando la sua più recente mostra personale, “Il disegno non ha tempo”, realizzata al MARCA di Catanzaro, che ha raccolto importanti opere e due inedite del 2021: Chlorophelia e NGC/7419. Vuole regalarci un commento su questi ultimi lavori?

OG/ Non so dove inizi la realtà o dove finisca per poi trasformarsi in un “altrove” che non conosco ma che mi si è presentato con questa sigla “N.G.C. 7419”, che ho sognato più volte, e che inserendola nel pc ho scoperto appartenere a un numero di codice che la NASA dà alle costellazioni. La mia sigla del sogno è quella di Cefeo e la sua forma a matita è emblematica. Un collegamento affascinante e misterioso tra cielo e terra attraverso la grafite/diamante carbonio presente negli ammassi stellari intorno al sistema planetario della pulsar “PSR” che si trova al centro della galassia, a circa mille anni luce dal Sole. Chloropheliail riflesso degli alberi in inverno nella piscina del mio giardino, dipinto quando in inverno nevica e la neve si scioglie. Da questa superficie liquida emerge un serto di stelle luminose: annunciazione, danza, una costellazione di stelle?

Dall’alto: NELLA COSTELLAZIONE DI ORIONE (trittico, pannello centrale), 2019. Matita su tavola, 100×100 cm. DALLA BOCCA E DAL COLLO DEL FOGLIO, 1977. Matita su carta + collage, 200×140 cm. NGC/7419, 2020-21. Matita su tavola, 285×185 cm. Foto © Carlo Vannini. Per tutte courtesy dell’artista.

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