INTERVIEWS

LA GALLERIA DEL FANTASTICO
Fabio Marullo                                                                               – Gregorio Raspa

Piccole finestre aperte su mondi lontani, tracce lievi di un pensiero che oscilla tra l’allucinazione e il sogno. Silenziose trasfigurazioni di una realtà invisibile agli occhi. Si presentano così i dipinti di Fabio Marullo, artista siciliano – oggi di casa a Milano – che da anni porta avanti una ricerca pittorica fatta di esplicite citazioni colte ed eleganti atmosfere zen. Una pittura che, dietro alla sua semplicità compositiva, nasconde lo spessore e la drammaticità propri di una cultura di matrice storica. Le opere di Marullo, infatti, sono il frutto di una strategia estetica che ha metabolizzato la lezione del Rinascimento e del Barocco, che ha appreso il linguaggio del Surrealismo e dell’Espressionismo, e che guarda alla contemporaneità da una prospettiva intima e personale. È così che, nel caso di Marullo, la pittura diventa quasi un esercizio di meditazione, un’operazione di attraversamento dell’Io e di messa in discussione delle sue capacità sensoriali. Un mezzo come un altro per dare sfogo ad un solipsismo narrativo che utilizza la meraviglia come veicolo di verità. 
Gregorio Raspa/ Il tuo viaggio in Cina, l’incontro con l’Himalaya, la visione di un paesaggio, la scoperta casuale di un vecchio libro. So che dietro a molte delle tue opere si celano simili episodi di carattere autobiografico. Più in generale, vorrei che tu mi parlassi della genesi del tuo lavoro…
 
Fabio Marullo/ L’origine e le ragioni del mio lavoro sono rintracciabili in un paesaggio costruito su convinzioni, visioni o analisi che la mia formazione e la mia percezione cognitiva riescono ad intercettare non solo dentro di me, ma al di là del mio essere. Compaiono nella mia mente un istante prima che il mio lavoro nel presente diventi futuro. Con la pittura riesco a centrare una verità, una realtà, consapevole che della stessa, come diceva Cartesio, possiamo avere un giudizio soggettivo, falsato, perché personale e frutto della nostra esperienza. Questo paesaggio, luogo pregno di senso e di carattere personale, è la mia galleria del fantastico da cui partire per tradurre in immagini il tempo della mia ricerca.
 
GR/ I tuoi dipinti appaiono come frammenti di una realtà in continuo divenire. Sembrano custodire storie sospese e in attesa di soluzione. Ho quasi l’impressione che facciano tutti parte di un unico, infinito racconto. È realmente così o mi sbaglio?
 
FM/ La mia pittura si inserisce, come direbbe la psicologia moderna, in un sistema di circolarità retroattiva, fatta di sguardi allargati o dettagli narrativi non necessariamente di senso compiuto. È come stare in un flusso continuo delle cose, ove è garantito un equilibrio omeostatico. Le storie narrate invitano lo spettatore a ritrovarsi, a stare dentro, nell’attesa che qualcosa possa subire un cambiamento, un’interpretazione la cui origine dipenderà molto dalle nostre abitudini di pensiero. Accade che chi le guarda le vede alle volte con occhi nuovi. Ciò mi stupisce sempre molto, poiché la relazione opera-pubblico segue le regole di un rituale magico inaspettato, quasi meraviglioso.
 
GR/ Impegnati in attività insolite, privi di volto e immersi in un paesaggio che sembra risucchiarli. Quale umanità raccontano i personaggi ritratti nei tuoi quadri?
 
FM/ L’aspetto delle cose che si presentano ai nostri occhi nella nostra vita non è sempre reale, autentico. Lo scontro con ciò che pensiamo di conoscere e ciò che non conosciamo provoca in noi disorientamento. I lavori dipinti rispondono ad un insieme di frammenti, di una storia o più storie possibili, né individuali né universali, paesaggi in bilico tra realtà ed illusione, in cui però il carattere umano rimane sempre molto presente. 
 
GR/ In altri lavori, invece, poni al centro dell’opera degli oggetti isolati, il più delle volte dotati di un carattere ambiguo e misterioso. Mi vuoi parlare di queste opere? 
FM/ I dipinti sopracitati appartengono a un ciclo di lavori in cui il soggetto o i soggetti che ritraggo sono volutamente isolati, descritti minuziosamente in quanto paragonabili ad esseri di alto valore simbolico, mnemonico, storico. La loro collocazione spazio-temporale richiede una prospettiva di relazionalità irreprensibile, lieve o atroce, come il mondo in fondo è.
GR/ Mi incuriosiscono molto i titoli che attribuisci ai tuoi quadri. Sembrano quasi avere una storia autonoma rispetto all’opera… 
FM/ I titoli delle opere suggeriscono un’identità che completa il valore dei dipinti, in quanto appartenenti a frammenti, congiunzioni, altre immagini di opere letterarie e filosofiche scelte sempre con attenzione e con cura. Questi sono funzione strumentale al dipinto stesso, stabiliscono connessioni di lettura completa dell’opera. 
In linea generale, ciò è ritualmente sperimentato nella ricerca, anche se talune volte accade che i lavori pensati vivano separatamente, evocando, per mezzo della magia della pittura, pensieri autonomi, idee e concetti. Il desiderio rimane quello di creare mondi personali riferendomi al mondo collettivo, permettendo l’accesso al senso, a quell’interstizio che Gilles Deleuze chiamava “Piega”. (…)
Dall’alto: UNTITLED, 2012. Olio su tela, 20×20 cm. THE WISDOM OF LIGHT, 2014. Inchiostro e olio su carta, 45,5×30,5 cm. Per entrambe courtesy dell’artista.

                                                                                                                                                              © 2014 BOX ART & CO.

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