Intervista di Loredana Barillaro
Loredana Barillaro/ Dimmi Laura, a tuo parere quanto può essere efficace l’azione dell’arte sulle tematiche legate all’ambiente?
Laura Pugno/ Non ho mai pensato all’arte contemporanea come movimento in grado di muovere le masse, mi sembra che non abbia i numeri per farlo, indipendentemente dall’argomento trattato. Ma ciò non significa che non ci si debba interessare a tematiche urgenti come quello del cambiamento climatico. È un nostro dovere prima di tutto come individui e come cittadini, più che come artisti.
LB/ Quanto è vicino il tuo approccio di artista a quello della scienza? Capiamo infatti che il limite fra i due ambiti può risultare davvero labile, come far emergere dunque i punti di incontro?
LP/ Come dici tu, il metodo di lavoro può essere comparato, essendo evidente che in entrambe le discipline vi siano una ricerca e un approfondimento quasi ossessivi. Mi viene in mente a tal proposito la teoria di Tim Ingold – antropologo inglese – invitato a confrontarsi più volte con il mondo dell’arte. Ingold sostiene che la ricerca scientifica non sia diversa dall’arte e che anzi dovrebbe esserle ancor più simile. Nelle sue intenzioni vorrebbe spronare gli scienziati a studiare il metodo artistico nell’ottica di avvicinarsi alla cosiddetta blue-skies research nella quale l’atto del ricercare è quasi più importante dell’oggetto stesso dello studio. Solo così la ricerca può condurre a risultati inaspettati o comunque ad aprire nuove vie di ricerca. Come del resto nell’arte non è importante dare risposte definitive, ma anzi trovare nuove domande. Nel mio lavoro la parte scientifica ha un ruolo importante come fonte d’informazione e come reverenza verso un sapere che dura da secoli. Ad esempio nel recente video Over Time, il lavoro di un nivologo (scienziato che studia la neve) viene osservato mettendo in risalto una sorta di ritualità e di gesti empatici che sembrano quasi messi in scena, ma che sono in realtà parte ricorrente di un iter scientifico.
LB/ Puoi raccontarmi come hai sviluppato la tua ricerca sul tema della neve? Cos’è che hai “racchiuso” nel progetto Over Time? Cos’è che ne rimane, e come potrà essere fruito nel futuro?, tanto come opera d’arte quanto come studio scientifico.
LP/ Si pensa spesso alla neve come materia transitoria, impossibile da conservare. Ho così iniziato questa mia ricerca con una serie di sculture – A futura memoria – che tecnicamente sono dei calchi di neve che immortalano (freezano, per usare un gioco di parole) la forma scultorea dei cristalli di neve. Questo lavoro costituisce un primo archivio di sculture che vanno ad arricchire l’idea culturale che abbiamo della neve, e che può essere utile alle generazioni future che, purtroppo, non avranno più esperienza di questo evento naturale. Allo stesso ciclo appartiene anche la serie Omaggio a Wilson Bentley, che prende appunto il nome dal fotografo americano del XIX secolo che fu il primo a immortalare i cristalli di neve. Quest’opera coglie la molteplicità delle superfici nevose che si possono riscontrare al variare delle condizioni atmosferiche e delle altitudini. L’installazione video Over Time ha proseguito questa indagine con una visione in forma di trittico. Il primo video è incentrato sulla scienza e ha come protagonista il nivologo Michele Freppaz, docente dell’università di Torino, che esercita solitamente i suoi campionamenti e le sue analisi ad alta quota (in questo caso all’Istituto Scientifico Angelo Mosso, ai piedi del Monte Rosa).
Nel secondo video la neve non è più quella naturale, bensì quella artificialmente prodotta nei laboratori industriali. La sequenza mostra il processo chimico di creazione e il suo successivo confezionamento in una lunga catena di montaggio. Il prodotto verrà poi venduto e utilizzato principalmente a scopo decorativo durante il periodo natalizio. Un surrogato di neve che anticipa inconsapevolmente la futura assenza dei paesaggi naturalmente innevati. Il messaggio dell’opera viene simbolicamente portato sulle spalle da un camminatore nel terzo video. Un busto di gesso che rimanda alla classicità, al passato e al rapporto che l’essere umano ha sempre avuto con la Natura. Rappresenta quindi il passato, ma anche un monito per il futuro: il busto è senza arti, né testa, e ci mette in guardia verso la possibile decadenza di una società che rischia di non riuscire a ritrovare un equilibrio con l’ambiente in cui vive. E se ciò dovesse accadere (se il camminatore scegliesse di non fermarsi) sarà l’essere umano a soccombere, non certo la natura che comunque sopravviverà.
L’installazione video è stata presentata in vari spazi italiani e a breve (febbraio) sarà presentato a SÜDPOL di Lucerna (Svizzera), per poi essere presentato in Francia al Musée Gassendi / CAIRN Centre d’Art, (Digne-les-Bains) A Tale of A Tub, (Rotterdam) Centre d’Art Contemporain (Genevra). L’opera infine entrerà nella collezione del MUSE-Museo delle Scienze di Trento, per continuare a sensibilizzare il pubblico sui cambiamenti che stanno avvenendo.
Dall’alto: A Futura memoria, 2018. Gesso ceramico, 20,5x19x14 cm. Omaggio a Wilson Bentley, 2018. Pigmento e neve su carta, 70×50 cm. “Over Time”, 2021. Still da video 4k, 15 min, documentazione set riprese video (Freppaz_Pugno), foto © di Michela Curti. “Over Time”, 2021, still da video 4k, 15 min. Per tutte courtesy dell’artista.
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