MerCibus. Il cibo “nell’era della riproducibilità tecnica”

Personale di Luigi Scopelliti

Il 29 dicembre 2016 si è inaugurata la personale di Luigi Scopelliti, artista classe 1988 e originario di Cataforìo (RC), presso lo studio fotografico di Giovanna Catalano a Reggio Calabria. MerCibus, è dunque il titolo del secondo percorso tematico della rassegna artistica Rizomata, nata e organizzata lo scorso settembre dalla stessa fotografa e proprietaria dello studio, Giovanna Catalano, e Kreszenzia Gehrer. La rassegna intende essere un contenitore senza troppe implicazioni ma utile a veicolare nuovi orizzonti di indagine e nuovi punti di vista sull’arte contemporanea e il mondo circostante. Testi e curatela delle mostre affidata a Eduardo Grillo, dottore di ricerca in semiotica e comunicazione, cui si affianca l’allestimento di Valentina Tebala, critica e curatrice indipendente.

Scopelliti agisce sulla materia plasmando il ferro, il gesso, la pietra o il legno, fino al più comune materiale di recupero, povero o di scarto, spesso letteralmente salvato dalla discarica. La sua ricerca affronta tematiche e problematiche sociali contemporanee che talvolta si mescolano con riferimenti e simbologie ancestrali o fuori dal tempo, incoraggiando semplicemente lo spettatore alla riflessione. Negli ultimi anni, con i suoi lavori l’artista ci parla del fenomeno capitalistico del land grabbing, dei cibi transgenici e OGM, della loro subdola snaturalizzazione, e del drammatico sradicamento dell’uomo dalla terra e dalle sue radici. “Una tabella a doppia entrata, o due curve che si inseguono su un piano cartesiano”, queste – secondo Grillo – potrebbero essere le forme che assume la proposta di Luigi nel suo interrogarsi sulla nostra alimentazione. “Da un lato le opere focalizzano l’attenzione sulla manipolazione del cibo, dall’altra incarnano il rapporto appiattito che l’arte intrattiene ormai con il mondo della produzione. In entrambi i casi, è la merce, intesa come principio trasformativo, a regolare le soluzioni formali. Infatti, Scopelliti mette in scena delle ‘pietrificazioni’ delle figure dell’edibile e la sua riduzione a etichette su cassette da frutta. Rispettivamente, si tratta della raffigurazione di due processi in atto: la reificazione del rapporto profondamente umano che alberga dietro agli alimenti, e lo svuotamento del cibo a vantaggio della sua identità meramente numerica, congeniale allo scambio, tipico anche delle forme d’arte contemporanee.

Mercificazione dell’arte e mercificazione del cibo esibiscono quindi un’identità formale, finendo per innescare un processo di riduzione dei contenuti valoriali. Ma Scopelliti, nel cartografare la nostra attuale situazione, non chiude le porte alla possibilità di un riscatto. L’installazione audio – realizzata in collaborazione con un esperto di tecnologie e archivi audio, Simone Casile – che accompagna le opere in mostra indica, per contrapposizione, la strada maestra da seguire: la riscoperta di una dimensione ‘domestica’: dell’allevamento e dell’agricoltura, ma anche un ritorno a ‘casa’ dell’arte”. Il percorso espositivo si esplica attraverso chiasmi e contrasti: il visitatore si trova tra due pareti, due pannelli contrapposti. A sinistra le pratiche naturali legate all’alimentazione, simboleggiate da un trittico di elementi: le posate (materiale di recupero, bruciato e ossidato) ordinate dentro una piccola cassetta; una dentatura scolpita nella pietra leccese; un melograno spaccato, sempre scolpito nella pietra leccese, a significar l’abbondanza della natura. Sulla parete opposta, campeggia in alto una cassetta di frutta, incisa direttamente sul legno in ogni sua parte: le incisioni riproducono alcuni ortaggi (pomodori, melanzane, carote) e ancora delle posate. Ogni faccia della cassetta è utilizzata come matrice, una volta inchiostrata, per produrre delle stampe a pressione su carta, trattate poi con un cucchiaio sul verso, a simboleggiare la possibilità della reificazione dell’oggetto d’arte nell’era della riproducibilità tecnica (W.Benjamin) e della mercificazione degli alimenti. Al centro della sala, una bancarella da mercato con un cavolfiore in cemento e foglie in metallo e un barattolo di terra che, insieme alla scultura, rimanda alla pratica del land grabbing, l’acquisto in blocco di grandi quantità di terreno agricolo da parte delle multinazionali e la conseguente esclusione dei coltivatori locali, a vantaggio di grandi coltivazioni destinate al mercato globale. Poi un passapomodoro d’epoca autentico (materiale di recupero) installato su pietra fa coppia con una pianta di pomodoro il cui stelo e foglie sono realizzate in metallo saldato e bacche in pietra leccese.

L’idea che il diritto su un seme sia proprietà privata è inaccettabile. Non si deve poter brevettare e privatizzare una pianta – o addirittura una generazione di piante – così come non si deve poterlo fare con la vita umana: la citazione dell’attivista Vandana Shiva riportata su una lavagna a muro accompagna la vista, a terra, di un enorme seme di mais che conduce il visitatore verso la conclusione del percorso espositivo. L’installazione audio sottolinea la contrapposizione tra due processi diversi di lavorazione del bestiame, quello industriale degli allevamenti intensivi e quello tradizionale comunque ancora in uso dai piccoli allevatori, analizzato quest’ultimo nelle varie forme e “riti” di culture diverse. Da un lato un coltellaccio in marmo bianco a simboleggiare la macellazione tradizionale, dall’altro un autentico gancio da macello con numero di identificazione del capo di bestiame, contrassegno della macellazione industriale. Chiude la mostra un lavoro dedicato alla spinosa questione degli OGM, e realizzato a partire da un vero e proprio esperimento effettuato dall’artista. E’ esposta una vera pannocchia biologica sottoposta ad un processo di essiccazione insieme ad alcuni semi di mais OGM, i quali chiaramente non hanno superato il processo decomponendosi e venendo quindi sostituiti nell’opera da una coppia di simulacri in pietra.

MerCibus – mostra personale di Luigi Scopelliti. Studio fotografico Giovanna Catalano, Via del Torrione 34 – Reggio Calabria. Dal 29/12/2016 all’8/01/2017. Orari: 10-13am e 16-19pm.

Veduta della mostra. Foto © Valentina Fortugno e Giuditta Marino.

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