Nel backstage degli “Umili Fiori” di Ingar Krauss

di Sabino Maria Frassà |

È sempre affascinante studiare la realizzazione tecnica di un’opera d’arte, scoprire come nasce e prende forma. Ancora più intrigante è quando gli artisti scelgono di essere homo faber, creando autonomamente ogni aspetto dell’opera. Questi artisti, spesso, custodiscono gelosamente i loro segreti tecnici, poiché la loro arte è anche una questione di saper fare. Oggi esploreremo le opere del maestro tedesco della fotografia Ingar Krauss, esposte in “Deep Blossom – E’ solo un fiore?” al Gaggenau DesignElementi di Roma fino al 24 luglio.

A prima vista, le opere di Krauss sembrano quadri iperrealisti, ma in realtà sono fotografie analogiche colorate con la tecnica della velatura fiamminga. Nato e cresciuto nella Berlino Est prima della caduta del Muro di Berlino, autodidatta vince il prestigioso Leica Prix nel 2004. Una storia iniziale di sacrifici e frustrazione – divenne meccanico perché il regime comunista non gli permise la formazione artistica – Krauss è una persona introversa e riservata; le sue opere sono la sua voce. Dopo il clamore dei primi anni, si è ritirato a vivere in una casa di campagna vicino al confine polacco, lontano da tutto e immerso nel suo adorato verde. Quando lavora, non tollera la presenza di nessuno: dietro queste nature morte si cela infatti un lavoro intenso e concentrato, in cui il gesto e il processo – ripetuto quasi ossessivamente – è fondamentale. In queste opere, l’artista colloca i suoi protagonisti – semplici fiori di campo – verticali quasi fossero attori di teatro su un palcoscenico. La composizione della scena è il fulcro dell’opera e l’artista spiega essere la fase più complessa del suo lavoro: “nel momento stesso in cui trovo l’idea, non penso ad altre immagini, guardo solo ciò che c’è. A volte ho già un’immagine molto nitida in testa prima di trovare il fiore o la fioritura giusta, altre volte l’immagine segue la particolare forma del fiore in modo immediato, ma può anche capitare che debba fare diversi tentativi in studio prima di trovare la giusta posizione per ogni elemento”.

Le sculture di fiori protagoniste delle nature morte durano solo per pochi istanti prima di essere immortalate dalla macchina fotografica. L’opera così stampata in analogico, sulla stessa carta proveniente ormai da trent’anni dalla Repubblica Ceca, viene poi trattata con il colore, ovvero con una serie di velature di colore a olio che premiano la carta fino a farla curvare. Questa matericità affascina moltissimo l’artista, che, con l’eccezione della primissima mostra nel 2007 – quando fu la galleria a decidere le cornici – decise di creare una propria cornice, una lignea molto scura che sembra quasi Corten e che fa parte indissolubile dell’opera d’arte. Questa matericità è ancora più evidenziata dall’artista perché la carta così incurvata non è tesa e non esiste il passepartout, ma viene appoggiata su un fondo sempre scuro, creando delle ombre che ne evidenziano ancora di più i volumi.

Questo aspetto permette all’artista di affrontare uno dei temi a lui più cari, la luce, tema predominante delle opere che animano lo showroom Gaggenau nel percorso espositivo “Deep Blossom”. Krauss, uomo di ossessioni, nello studio della luce vede la soluzione dell’opera stessa, di quell’equilibrio precario dei suoi “umili fiori” in piedi, i quali diventano così un pretesto per esplorare la complessità della realtà circostante, grazie alla luce radente, quasi caravaggesca. Questo connubio tra tecnica fotografica e luce permette all’artista di oltrepassare la bidimensionalità e abbracciare una prospettiva multidimensionale. Se Caravaggio ispira lo studio della luce, la pittura fiamminga, in particolare Van Der Weyden, influisce sulla tecnica. Krauss applica la velatura dal 2007 alle sue nature morte, conferendo loro una tridimensionalità materica.
Va ricordato che l’artista ottenne il Leika Prix con i suoi ritratti in bianco e nero. Il colore fu perciò assente nei primi vent’anni di carriera. Solo raramente l’aveva sperimentato in alcuni ritratti realizzati al chiuso, quando si presentavano quelle che lui definiva come ‘situazioni di colore’, ovvero quando la luce degli interni più intima e concentrata sull’oggetto determinava la necessità del colore per raccontare la profondità della realtà rappresentata. Pel le nature morte il bianco e nero è invece un’eccezione: si tratta di opere caratterizzata sempre da colori “antichi” come quelli ad olio. L’artista spiega questa scelta con il fatto che la palette della pellicola fotografica fosse troppo vivida e non rispecchiasse l’intento di raccontare il soggetto – l’elemento naturale – colto nella sua dimensione assoluta e atemporale. Questa concezione dell’immagine porta l’artista a prediligere il medio-piccolo formato, in controtendenza rispetto al gigantismo che caratterizza tanta fotografia contemporanea. Si tratta di una scelta quasi ideologica, come illustrato dallo stesso Krauss: “Il piccolo è bello! C’è una sorta di concentrazione o densificazione. Mi piace la dimensione che ho dato a questi lavori perché si adatta perfettamente ai soggetti ritratti, li rispetta”.

Capiamo così come i fiori di Krauss rappresentano una filosofia di vita, invitandoci a riflettere sulla gioia delle piccole cose e sull’importanza di percepire la profondità e la magia della realtà anche nei dettagli quotidiani. Di fronte alle sue opere, ci lasciamo trasportare in una fioritura di emozioni al di là del tempo e dello spazio, abbandonando ogni tentativo di interpretazione razionale del reale.

Dall’alto: Per tutte Ciclo nature morte, di ingar Krauss.

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