Nota critica e intervista ad Alessandra Maio, Chiara Solmi e Maria Chiara Wang
di Tatiana Basso
Nello spazio dedicato all’arte contemporanea all’interno delle storiche mura cittadine di Castelnuovo Rangone — CRAC — in provincia di Modena, ha inaugurato il 13 giugno Nescio, Nolo, personale di Alessandra Maio, bolognese classe 1982 attiva tra Italia e Francia. A cura di Maria Chiara Wang, la mostra delle calligrafie su carta, legno e tela dell’artista trova nelle poesie in cornice di Chiara Solmi ulteriore significazione: opera e poesia tendono all’ecfrasi, alla vicendevole illustrazione — dal latino illustratio-onis “illuminazione”, “chiarificazione” — nel protendersi reciproco dei diversi spiriti e linguaggi delle autrici. Una scrittura come ricerca esistenzialista, quella di Alessandra Maio, che di opera in opera si manifesta nella reiterazione del segno, richiamando per certi versi la ripetizione ossessiva del gesto grafico in Irma Blank o l’inesausta fluttuazione della biro propria di Boetti, ma che nella valenza catartica e meditativa del ritorno dell’uguale trova peculiare ragione. Eppure, non risoluzione, ma tensione dialettica verso un senso mai aprioristico. Nescio, “non so”, Nolo, “non voglio”, sono gli incipit delle negazioni che sottotitolano e vanno a comporre formalmente e concettualmente, nella loro innumerevole replica, le due principali installazioni dell’esposizione.
CASCATA DI PAROLE. Non so più cosa continuo a cercare è una precipitante rappresentazione di un pensiero fisso ed irrefrenabile il cui silenzioso «fragore», riprendendo le parole della curatrice, diviene avvertibile nella «copiosità dell’opera». Sulle esili, fitte lingue di carta, la penna compie un atto di riduzione e spoliazione, rimettendo il pensiero alla sua essenzialità plastica: affermazione di una condizione di smarrimento, ove origine, flusso e viluppo sono contigui nella leggerezza aerea dell’opera. Della cascata, il moto immobile riecheggia nei versi di Chiara Solmi, nell’immagine di una «fiamma, ferma all’imbrunire di un’epoca», che si dimena nell’acuirsi notturno dei sensi. È ancora il suo carme Ringrazio il mio dolore, adagiato a livello del suolo, a chiederci di avvicinarci, chini, a PREGHIERA. Non voglio continuare a sbagliare, anch’essa allestita a terra, in un accostamento che realizza la «carmina figurata», armonizzazione di poesia e arte visiva in «un momento lirico unico» (M.C.Wang).
Esposta nel 2020 in occasione della mostra personale Sia Luce presso la Cattedrale di Santo Stefano (Biella, 2020), — che si vuol ricordare, insieme a La tête dans les nuages, Teodora galerie (Parigi, 2018) — l’opera formalmente consimile alla filza di grani che compongono la collana sacra del rosario si origina da un atto di liberazione. Non perseverare nell’errore è l’anelito, o il monito, che l’artista rivolge a se stessa mentre scrive centinaia di volte su fogli di quaderno dal riconoscibile rigo scolastico — in un probabile rimando al “compito” scritto — il proprio ex voto suscepto, poi appallottolato e gettato alle spalle nella contezza della fallibilità connaturata a ogni possibile proponimento. Una registrazione di un atto performativo-cognitivo, dunque, volta a conferire permanenza allo scorrere della memoria e della parola, labili per definizione.
EQUILIBRI INDIFFERENTI. Non riesco a stare in equilibrio, installazione rappresentata a CRAC mediante un suo solo elemento, ci interroga invece su quale sia realmente l’equilibrio desiderabile attraverso l’espediente simbolico della trottola, giocattolo dalla rotazione effimera e ipnotica. Accanto, la modulazione del ductus calligrafico a matita di PAESAGGIO. Non voglio perdermi in questa confusione, realizza finissimi passaggi tonali che si confondono nelle velature di un acrilico estremamente acquerellato, riverberando nello spazio della scrittura che questa mostra dischiude. Come leitmotiv, il «non» ritorna nel grafismo dell’artista a tracciare il percorso verso il ripensamento della fissità della coscienza alla luce dell’ignoto su cui essa è perpetuamente affacciata. Giunge allora puntuale il riferimento curatoriale alla «consapevolezza di una ragione plurale, dispersa, inesatta e non necessariamente orientata» preso a prestito da La philosophie du non di Gaston Bachelard, che si estrinseca nella creazione, attraverso il segno, di un paradigma conoscitivo, mobile e autopoietico, del proprio mondo interiore.
Della retrospettiva, la polifonia e l’intreccio dei linguaggi — artistico, poetico e curatoriale — costituiscono un segno distintivo. Sorge spontaneo, allora, ricercare l’epilogo nella coralità delle parole di Alessandra Maio, Chiara Solmi e Maria Chiara Wang.
Tatiana Basso/ Sull’atto della scrittura, in relazione al significato della parola e al di là di quello, verso un gesto ripetuto, svuotato degli orpelli, che sembra tendere all’ascesi. Com’è iniziato il tuo rapporto con questa pratica, come si è sviluppato e in che modo si ricollega al tuo attuale percorso formativo di Arteterapia?
Alessandra Maio/ Ho sempre amato scrivere su diari o taccuini, ma ho iniziato a inserire la parola nei miei lavori solo alla fine dell’Accademia e in maniera contestuale sia nei quadri che nelle installazioni, dove solitamente la grafia si fa coraggiosa e più leggibile. Ho scelto di iniziare gli studi di Arteterapia perché penso sia molto importante avere a disposizione altri linguaggi, oltre a quello verbale, per esprimersi: attraverso la pittura o la fotografia posso riuscire a rappresentare emozioni e pensieri che a parole faticherei a descrivere. Penso, quindi, che possa essere molto interessante integrare in questo percorso anche la mia passione per la scrittura.
TB/ Ricercare, respirare, camminare, sognare sono atti che ritornano nelle serie dei PAESAGGI, ORIZZONTI o NUVOLE suggerendo una relazione tra la contemplazione del territorio e la creazione dell’opera. Esiste un intreccio delle due pratiche al di là del piano simbolico?
AM/ Sì, esiste un forte intreccio. I miei lavori nascono da pratiche performative che spesso rimangono solo private, ma che sono alla base di questi. La meditazione è una pratica che porto avanti da molto tempo e che ritrovo anche durante la costruzione dei miei lavori, oltre che nelle lunghe camminate che amo fare in montagna o tra i boschi. Camminare, scrivere e meditare sono tre azioni molto legate e molto importanti, per me stessa, per riflettere e per portare avanti la mia ricerca.
TB/ Epifanie della coscienza, sull’essenza e autenticità delle cose, dalle tue poesie pare innalzarsi coraggiosamente un inno grato alla Vita. Come si origina e cosa unisce alle radici le vostre ricerche, tua e di Alessandra Maio, sino alla realizzazione dell’ut pictura poësis di questa mostra?
Chiara Solmi/ L’ascolto di sé regala l’accesso a verità sempre esistite, individuali e universali. Io e Alessandra non facciamo altro che ricercare e restituire il paesaggio dell’anima ai fruitori delle opere attraverso più percorsi, che dopo essersi materializzati in forme diverse si riconoscono dialogando tra di loro e con i destinatari.
TB/ La spazializzazione di una scrittura di tipo autobiografico consente al lettore-osservatore di addentrarsi fisicamente nell’io narrante dell’autore. È possibile affermare che in questa operazione risieda una peculiare apertura del calligramma o della poesia visiva ad una dimensione estetica condivisa?
Maria Chiara Wang/ Assolutamente sì! Aggiungerei che la condivisione si estende anche alla dimensione emotiva oltre che a quella estetica. Le opere di Alessandra, così come i versi di Chiara, sono intime, ma — pur traendo ispirazione e sostanza da un vissuto personale — raccontano di stati d’animo, emozioni e pensieri comuni. Questi lavori si radicano in un sentire condiviso ed è, perciò, facile entrare in risonanza con essi.
NESCIO, NOLO
mostra personale di Alessandra Maio
a cura di Maria Chiara Wang
CRAC Spazio Arte | Castelnuovo Rangone (MOFino al 31 luglio 2021
Dall’alto: CASCATA DI PAROLE – Non so più cosa continuo a cercare, 2018. Penna su carta, installazione ambientale. ORIZZONTE (g2), 2017. Matita e acquerello su carta di cotone, 56x 56 cm, (particolare). Per entrambe courtesy dell’artista.
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