NULLA DI NUOVO | I viaggiatori sedentari di Nicola Biondani

di Enrico Turchi | 

Storie, storie di viaggiatori reali e immaginarie quelle che raccontano e racchiudono le figure totemiche di Nicola Biondani, di una terracotta ormai slegata al giogo della sua fissità per farsi narrazione quasi pittorica, quindi poetica e testuale. Lasciandoci trasportare dalla performance aedica dell’autore, di fronte a questi personaggi sembra davvero fare conoscenza di una umanità in carne ed ossa tanto il racconto è racchiuso nell’insieme coadiuvato dalla complessità delle loro forme. Intimità, ambiguità e dramma che non possono che accendere la nostra più attenta, completa e leale curiosità. Proprio quell’effetto di sospensione e straniamento legato a una diversa percezione del quotidiano tanto caro ad altri autori del Novecento italiano, così riportato in auge con nuove accezioni di intenti e qualità fondative.

Nulla di nuovo, la mostra allestita presso la sala della Biblioteca Comunale di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, avrebbe forse dovuto chiamarsi “a m’arcord” o in ogni caso volgere il suo titolo in dialetto, secondo la volontà dell’autore, tanto per marcare la vicinanza di un vissuto viscerale, radicato, comprensibile e trasmissibile mediante la semplice e spontanea espressione di sé. Curata da Elisabetta Pozzetti, e con una nota testuale di Alessandro Mescoli, l’esposizione propone un excursus di quindici opere in terracotta armoniosamente disposte all’interno della galleria, visitabile fino al 27 ottobre 2024.

All’ingresso ci accoglie La Papessa, immagine dell’attrice Paola, che al momento del suo ritratto non doveva far altro che sentirsi bellissima, essere naturale, come era, tra le architetture di volumi che le sue vesti andavano a disegnarle attorno. La presenza importante della figura trae spunto dal rigore e dalla maestosità del Busto di Pio XI, opera di Adolfo Wildt di cui ricalca la tipica forma del collo allungato, “ritratto di idee, non di uomini”¹. Una profondità questa che si manifesta anche nel distacco ironico dalla realtà, proprio in quelle caricature che dagli autori del Realismo Magico volge piuttosto lo sguardo verso un tipo di cinema come quello del più attuale Wes Anderson.

Quindi un’altra formella di terracotta patinata, disposta orizzontalmente, si presenta con il racconto di una coppia di amanti dal fine non lieto, retaggio del vissuto personale di un amico artista. Emerge qui la follia gentile di queste figure, che nel loro disorientamento non cessano di essere al mondo a cercare un appiglio, trovare un porto sicuro in cui essere liberi di esprimersi spontaneamente. Sembrano dirci così quanto vale la diversità, che in fondo l’intimità è variegata e non omogenea, e che intanto a questo mondo c’è posto per tutti.

Collocata in una nicchia Madre fa invece parlare della sua maestosità i dettagli, in quella corda che lega un pesce quale simbologia del battesimo nella scultura laica. Una ieraticità che oltre all’atto del togliersi la veste ci è restituita anche dalla crudità della figura, un richiamo tattile al sentire della carne, della superficie e dell’epidermide.

Al centro della galleria Il Porco Santo e la mendicante trae spunto dall’esperienza di un viaggio nel corso del quale assistere al trasporto animali come i maiali ammassati nelle loro stive. Sincrono di opposti come il trattamento riservato all’esistenza di questi esseri al mondo e l’opulenza che l’uomo ne ricava, è forse un modo di dire loro grazie tramite un cenno alla dimensione del sacro. Sulla testa del maiale è saldo infatti un frutto di melograno che guarda alla più nota incisione di Albrecht Dürer, da cui si staglia la forma di una raggiera dorata. A dirigerlo è invece solo una mendicante, simbolo della lucida follia che a volte ci guida nel renderci meno nobili delle nostre stesse cavalcature.

Altra caricatura quella di Nick Cave nel busto Nik, il quale ci porge delle monetine similmente al pedaggio necessario ad assicurarsi il passaggio del traghettatore nel regno dei morti. Analogo alla serie dei Folli, emerge qui una ambiguità irrisoria nei confronti dello spettatore, il quale, chiamato in causa dagli sguardi interrogativi della coppia di figure, da indagatore diventa in qualche modo indagato, facendo emergere di queste visioni quasi l’occasione di un vero incontro. Altrettanto reale il mezzo busto di Sergio, studente del liceo artistico con poca voglia di prestare attenzione alla lezione del suo professore. Ma perché non siedi qui e ti faccio un ritratto? Come nella scultura Avo, abbozzo delle avventure di Dedalo e Icaro, dove un padre è chiamato a dare sostegno al figlio più fragile.

Amante della ritrattistica e specializzato nel ritratto psicologico, Biondani chiede ai suoi modelli di posare secondo una modalità alquanto inusuale ai nostri giorni: parlare di sé. «In realtà non esco così di frequente dal mio studio. Loro viaggiano, io no». Siamo così infine coinvolti nel dialogo tra viaggiatori sedentari, come in un punto fermo, perché questa è la narrazione, questo il racconto, e queste le facoltà proprie dell’immaginazione.

¹Così il critico milanese Enrico Piceni sulle opere di Adolfo Wildt: “ritratti di idee, non di uomini: e per questo di una terribile somiglianza”.

 

Dall’alto: Il Porco Santo e la mendicante, 2024. Terracotta patinata. La Taglia caxxi, 2024. Terracotta patinata, 32x30x6 cm. Nik, 2023. Terracotta patinata, 40x35x25 cm. Per tutte courtesy l’artista.

 

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