ORIZZONTE-SOMMO-ORIZZONTE | Intervista a Giovanna Caimmi, Francesca Dondoglio e Studio La Linea Verticale

di Maria Chiara Wang

La galleria bolognese Studio la Linea Verticale celebra il suo primo anno di attività con la bi-personale ORIZZONTE-SOMMO-ORIZZONTE. In mostra opere di Giovanna Caimmi e di Francesca Dondoglio. L’esposizione è accompagnata e arricchita dai contributi critici di: Lorenzo Balbi, Valerio Dehò e Carmen Lorenzetti per l’artista cesenate e di Olga Gambari, Roberto Mastroianni e Alessandro Mescoli per la pittrice torinese. Di seguito un rapido scambio che permette di immergerci nei contenuti della mostra, nella poetica delle artiste e nella linea di ricerca dello spazio espositivo.

Maria Chiara Wang/ L’installazione site-specific Loopholes realizzata per lo spazio di Studio La Linea Verticale avvolge lo spettatore come in un abbraccio, per essere trasportato dove? I tuoi segni a matita su carta velina quali paesaggi delineano, verso quali orizzonti proiettano?

Giovanna Caimmi/ Il viaggio fruito dall’interno del white cube attraverso le feritoie inizia dall’Ovest del futuro, introducendoci a scenari immaginari ipotizzabili entro circa duemila anni. Un disegno mostra macchinari giganti, autonomi, che governano indisturbati la Terra mentre gli esseri umani non sono altro che statue adornanti edifici ipertecnologici. Spostandoci verso Nord, dove la linea d’orizzonte si distende lunghissima tra ghiacci e igloo, arrivando fino alla veduta di Reykjavik, in una delle numerose polaroid che intermezzano come virgole le varie strisce a matita, d’improvviso precipitiamo insieme alla cascata d’acqua che inclina momentaneamente lo sguardo verso le piccole presenze svestite dei Wandervogel e poi su nuovamente, avvalendoci della leggerezza delle nuvole. E siamo già ad Est dove, tra i vulcani eruttanti, un evento terribile attira il nostro sguardo: il fungo atomico di Hiroshima, segnatempo dal passato prossimo, è tinto di verde e giallo ed è traumaticamente ripetuto, alla maniera delle sedie elettriche di Warhol, anche fotograficamente. Eccoci infine nel Sud, dove la vegetazione s’infittisce rivelando, di tanto in tanto, scene bucoliche e blasfeme: una donna nuda seduta in un bosco, un sabba di streghe, dei giganteschi fiori radar che captano segnali alieni e divini. Un ultimo disegno chiude (o apre) il cerchio teletrasportandoci direttamente al cospetto delle piramidi d’Egitto, nel bel mezzo di un ambiguo scenario in cui s’incrociano astronavi e carri armati vintage. Il fruitore ipotetico compie un viaggio (che ora ho estremamente sintetizzato) lungo la stratificazione della mia vita. Senza scadere nell’autobiografico, l’ininterrotta e circolare successione di feritoie è stata possibile solo tramite la raccolta dei ricordi dal mio passato, le mie letture, le conoscenze, le esperienze ed intuizioni che nutrono la mia fantasia. 

MCW/ Il Rosso e il Blu sono le matrici della gamma cromatica impiegata nelle opere esposte in occasione della mostra Orizzonte-Sommo-Orizzonte. Quali vibrazioni emanano questi colori e come risuonano in chi le osserva? 

Francesca Dondoglio/ Dal punto di vista tecnico – di materia parlando – i due colori permettono di generare una vibrazione, una fermezza e un dinamismo allo stesso tempo, quell’armonia discorde (concordia discors) che non so spiegare. Il binomio rosso-blu è una metafora, o meglio la costruzione di un simbolo (nel senso di «unire, gettare assieme») che dà corpo alla dualità del comportamento umano. Razionale e irrazionale, mente scientifica e immaginativa, pensiero logico e sentimento religioso, materiale e immateriale, conoscenza e sentire esperienziale, sono solo alcune delle carte da pescare nel duplice patrimonio dell’essere umano. Questa dualità feconda, sorgente di quasi tutti i drammi, ma anche delle abilità superiori e delle esperienze più profonde di ognuno, viene dibattuta innumerevoli volte in letteratura e recentemente evidenziata anche dalla ricerca scientifica che spiegherebbe l’evoluzione biologica come il confitto tra conservazione e innovazione. L’essere umano, questo “mostro incomprensibile”, è così sospeso a cavallo tra le sue scissioni, sulla soglia tra il rosso e il blu, insieme “angelo e bestia”, e posto nella condizione di sperimentare in un sol colpo tutta la sua miseria e la sua grandezza, sconfinatamente. In tal senso, abitare la soglia significa porsi nell’ottica di un moto duplice che, seppur non risolvibile, viene riportato alla luce, non come sintesi ma come apertura che pone in comunicazione gli estremi. La soglia è quello “spazio utopico” (da intendere come lo disegnava E. Bloch), quell’area di manovra in cui è possibile non solo cimentarsi con l’alterità, con l’Altro-da-noi che è in noi, ma anche ripensare i confini, gli equilibri e le contraddizioni tanto problematiche quanto urgenti nel mondo in cui viviamo. Pur sorgendo da un’infinità di antitesi, condizione di ogni produrre, oggi forse più che mai l’agire estetico necessita di questa tensione tra i due mondi perché, proprio nel periodo più secolarizzato della storia, gli artisti potrebbero ancora mostrare l’invisibile come strumento critico del presente.

MCW/ Le artiste scelte per questa bipersonale si confrontano nel visualizzare, in due differenti maniere, l’una col segno e l’altra col colore, un “Orizzonte sommo” od un “Sommo Orizzonte”. Perché per Studio la Linea Verticale è importante sottolineare la verticalità   spirituale nell’orizzontalità fisica di un paesaggio?

Studio la Linea Verticale/ Solo perché ci occupiamo di verticalità non significa che la dimensione orizzontale delle nostre esistenze non possa mai rientrare nei nostri interessi, anche perché, che lo si voglia oppure no, tale dimensione è imprescindibile da quella verticale. Il soggetto paesaggistico si presta meglio di altri a dimostrare la duplice direzione che lo compone, perché esso è per antonomasia orizzontale – così lo percepisce l’uomo che, divenuto erectus, ne ha preso le distanze e vive (o meglio dovrebbe vivere) la dimensione verticale. Così lo percepiscono gli artisti nelle loro rappresentazioni, scegliendo di dirigere la tela orizzontalmente per contenerne l’estensione o, meglio, la distensione. Ma un paesaggio può, in certi stati interiori dell’essere umano che lo contempli di lontano, diventare verticale, ed esiste una parola specificatamente coniata per questa circostanza: “Sublime”. Una delle caratteristiche principali del Sublime è il suo doppio effetto sulla nostra psiche, attrazione e repulsione si mescolano in noi causando una certa malinconia; forse la nostalgia nei riguardi dei nostri ascendenti primati; il lieve dolore forse causato dalla consapevolezza che tanta bellezza non ci riguarda, il paesaggio ci esclude. Così la bicromia accecante di Francesca, che tanto direttamente arriva alle vibrazioni della nostra anima, ci ferisce proprio nel punto d’incontro, il fendente formatosi dal rapporto incestuoso tra il Blu e il Rosso ci trafigge. Così il segno nel paesaggio totale di Giovanna, portato alle estreme conseguenze nella sua compressa visione orizzontale attraverso le feritoie, ci fa girare e girare come un derviscio, sottolineando infine il nostro asse rotatorio verticale.

Dall’alto: Giovanna Caimmi, Loopholes, 2023, dettaglio delle coordinate Est e Sud, tecniche miste su carta velina e fotografie in cornice d’artista. Ph. Paolo Serra. Francesca Dondoglio, installation view at Studio la Linea Verticale, 2023, Orizzonte- Sommo-Orizzonte. Ph. Paolo Serra. Per entrambe courtesy Studio la Linea Verticale srl.

© 2023 BOX ART & CO.

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