a cura di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco
Alberto Ceresoli|Carmela Cosco/ Che cosa cerchi nella pittura; che discorso sostiene il tuo fare pittorico?
Domenico Ruccia/ La pittura rappresenta per me la maniera di unire molteplici attività che amo svolgere in un’unica azione. E’ l’unico modo attraverso il quale riesco a far confluire la mia concentrazione in un solo processo, senza pensare ad altro. Può sembrare elementare, ma è il mio strumento per distaccarmi dalla realtà e dai pensieri, quasi fosse una meditazione. In tal senso dipingere un prato, dei giocattoli o una donna in bikini non fa differenza. La volontà di unire al gesto pittorico una mia personale narrazione è venuta in seguito, e l’ho decisamente cercata: ho pensato che sarebbe stato ancor più interessante – in primis per me stesso – creare un’epica, una rappresentazione con degli attori. In detta narrazione ho fondamentalmente raccolto quelli che erano i miei interessi: il cinema italiano, dalla commedia sexy all’onirismo magico di Fellini, ma anche una tendenza verso la cultura anglofona, come la moda, il cinema ed in generale lo star system degli anni 60’ e 70’. Quindi è grazie alla pittura che ho unito il semplice piacere del dipingere alla voglia di raccontare un mondo, costruito in maniera totalmente arbitraria sulla base di alcuni elementi di riferimento.
AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?
DR/ Direi che sono molto rigoroso. Il mio modo di organizzarmi rispecchia molto la mia indole, che definirei metodica e perfezionista. Quindi cerco di essere quanto più costante e continuo nella mia attività: se ho la possibilità passo gran parte della mia giornata in studio, cercando di concretizzare idee e progetti che, come mio solito, sono stati ampiamente valutati in precedenza e infine selezionati. Questo però non significa che io azzeri l’improvvisazione: a volte alcune idee giungono all’improvviso, mi convincono talmente tanto da metterle subito in pratica … ma questa ipotesi rappresenta l’eccezione.
AC|CC/ Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica. Ci interessa il tuo rapporto con supporti e materiali. Scelte e affezioni?
DR/ Ho sempre lavorato su tela. Nei primi anni utilizzavo il cotone, ma successivamente il lino ha preso il sopravvento. La tela è un supporto che mi ha sempre affascinato: inizialmente non riesci a cogliere tutte le peculiarità e le attenzioni che il materiale richiede, ma più il tempo passa e più credo che questa sia la mia dimensione. Lavoro spesso anche su carta: alcuni disegni sono semplici studi preparatori, altri li reputo invece completi e decido di non trasformarli in un dipinto. Anche con la carta tendo comunque ad essere selettivo: amo quella preparata artigianalmente o, in alternativa, utilizzo carta da spolvero, poiché mi ha sempre affascinato la sua superficie ed il colore. Per i colori ad olio, infine, ho sempre puntato sulla qualità: la mia pittura è molto satura e ho sempre cercato di utilizzare i prodotti e i pigmenti migliori sul mercato, a meno che un colore più scadente sia funzionale alla resa dell’opera stessa, cosa che a volte accade.
AC|CC/ Astrazione o figurazione?
DR/ Sono legato ad un linguaggio figurativo, anche se tale distinzione ha un’importanza relativa: la tendenza a creare delle immagini con delle figure immediatamente riconoscibili è una conseguenza della mia inclinazione, del mio modo di intendere il rapporto tra linea e colore. Ma ciò è fuorviante nell’ottica della costruzione di un’opera: immagino il rapporto cromatico e compositivo in primis come equilibrio pittorico, infatti la narrazione che ne consegue è semplicemente il risultato dell’aver voluto tracciare quelle linee e dell’aver voluto campire determinati spazi con un certo colore.
AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?
DR/ Come ho già accennato, le fotografie relative al mondo dello spettacolo e della moda degli anni 60’ e 70’ sono le vere fonti del mio lavoro, ma ci sono tantissimi pittori che amo e che continuo a studiare. Se dovessi operare una selezione, direi sicuramente che David Hockney, Mamma Anderson e Alex Katz sono dei punti di riferimento. Ma ovviamente ho sempre guardato tanto la pittura italiana, e qui inserirei tra i miei preferiti Salvo e Casorati. Ad ogni modo sono molto attento verso la pittura odierna e cerco spesso di approfondire le novità più innovative in termini di linguaggio: credo che da questo punto di vista Ambera Wellmann e Rute Merk siano davvero interessanti.
Dall’alto: Estate 1975: l’iconica 43enne Liz Taylor si gode la sua nuova tenuta nel cuore di Malibù, olio su lino, 120×100 cm, 2021. Improbabili imitatori di McCartney & Cher improvvisano un duetto in un festival dai dubbi risvolti benefici 2020, olio su lino, 110×80 cm. Per entrambe courtesy dell’artista e Superstudiolo.
© 2021 BOX ART & CO.