PAINT! PAINT! PAINT! | Intervista a Gabriele Ermini

a cura di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco

Alberto Ceresoli | Carmela Cosco/ Ad apertura di questo scambio ti vogliamo chiedere che cosa cerchi nella pittura. Che discorso sostiene il tuo fare pittorico?

Gabriele Ermini/ La risposta a questa domanda non è per me immediata. Non credo infatti che io stia cercando qualcosa in particolare con la pittura, perché se per cercare si intende raggiungere un preciso obiettivo o un traguardo, francamente non credo di rincorrere qualcosa del genere. Ad un certo punto della mia vita ho iniziato a dipingere e non ho più smesso: all’inizio per curiosità, poi per passione, poi per necessità. L’idea di traguardo proprio mi turba: credo al contrario che della pittura (e probabilmente questo si può estendere a qualsiasi altro medium) sia interessante l’indefinito numero di percorsi percorribili, consapevolmente o non. Infatti uno dei motivi che alimenta  continuamente la mia volontà di dipingere è questo poter vagare tra infinite possibilità racchiuse nei limiti della tela. Ho preso coscienza di essere uscito dalla fase prettamente sperimentale quando mi sono reso conto di ciò.

AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?

Gabriele Ermini/ Sono una persona poco disciplinata: per quanto ci provi quotidianamente, non riesco mai ad avere ritmi costanti. Ci sono giorni in cui rimango incollato alla tela mattina, pomeriggio e sera; altri giorni in cui riesco a lavorare bene solo un’ora. La costante è che anche solo per una pennellata, uno schizzo, preparare una tela o rimettere a posto il casino che ho accumulato, in studio praticamente ci vivo e ci vado tutti i giorni. La mia pittura non è diversa da me, è fatta da momenti diversi tra loro. In genere, seppur in modo elastico, mi piace progettare e/o provare di volta in volta ogni passaggio, in particolare quando ragiono con la logica dei livelli: ci sono quindi interventi anche di piccole dimensioni che possono diventare lunghissimi, alternati però anche da interventi casuali con un approccio più gestuale, quindi immediato. Trovo necessario dare importanza al piacere di dipingere: quando dipingo (bene) mi diverto, e se non mi diverto in genere vuol dire che sto lavorando in modo meccanico. Ecco, tornando alla domanda precedente, posso dire che tra i propositi della mia ricerca c’è quello di mettere in discussione il più possibile la retorica del fare.

AC|CC/ Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica. Ci interessa il tuo rapporto con supporti e materiali. Scelte e affezioni?

GE/ Lavoro quasi totalmente su tela, ma  adesso che sto iniziando a ragionare su formati più piccoli, sto valutando sempre di più il legno. La trama liscia della tavola mi permette una maggiore precisione. Mi piace ritrovare una certa pulizia dell’immagine e generalmente non utilizzo colore a corpo, tranne in rari casi, per cui lo strato di pittura che si genera tendenzialmente rimane sottile. Nel mio lavoro utilizzo sempre tecniche miste: olio e acrilico sulla stessa tela, integrati col tempo da altri materiali come lo spray. Circa un anno fa avevo un po’ di soldi da parte e ho comprato un aerografo che si è rilevato un ottimo compagno di quarantena.

AC|CC/ Astrazione o figurazione?

GE/ Tutto è astratto e tutto è figura. Guardando da vicinissimo un quadro figurativo la percezione che se ne avrà sarà di un’immagine astratta. Lo stesso accade isolando i vari elementi pittorici, come una pennellata, un segno o una campitura. Il discorso vale per un quadro astratto nel momento in cui quel che vedo mi rimanda all’immagine di un paesaggio o di una qualsiasi altra figura. Nel mio lavoro mi concentro sulla figura.

AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?

GE/ Omnia.

Dall’alto: SENZA TITOLO (0420), 2020. Olio e acrilico su tela, 120×100 cm. SENZA TITOLO (BOY WAITING FOR), 2020. Olio e acrilico su tela, 150×100 cm. Per entrambe Courtesy Superstudiolo.

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