PAINT! PAINT! PAINT! | Intervista a Roberto Picchi

a cura di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco

Alberto Ceresoli|Carmela Cosco/ Che cosa cerchi nella pittura e che discorso sostiene il tuo fare pittorico?

Roberto Picchi/ Il discorso potrebbe esemplificarsi nell’immaginario di un piccolo diario meteo-climatico: un archivio di restituzioni e visioni personali che spero, in un tempo futuro, possano comunicare qualcosa di più, o quantomeno divenire un punto di vista insolito, di tutte quelle problematiche che vivo e viviamo legate alla natura e ai propri stravolgimenti. Nel mio caso lo studio si struttura in due momenti specifici: quello soggettivo, legato al camminamento, al vivere, all’attraversare, all’osservare il paesaggio e quello più oggettivo, della ricerca a priori e a posteriori del luogo esplorato sia dal punto di vista climatico e meteorologico, sia da quello ambientale e geologico. Pertanto, in pittura, ricerco un contatto verosimile, esperienziale e sensibile tra ciò che osservo, studio e vivo, con ciò che successivamente riporto nel mio immaginario. Ricercare indizi e specificità naturali penso possa essere una caratteristica significativa e fondante del mio lavoro. Cerco singolarità che provengono da forme differenti, che spaziano da quelle colossali di ghiacciai, di silhouette montuose, di alvei fluviali, ma considero anche morfologie estremamente esili ed effimere come alcuni particolari di stalattiti o funghi. Una ricerca che vuole frequentare, o quantomeno ambisce ad avvicinarsi alla definizione degli studi climatici fornita dal filosofo Roberto Casati in Lezione del freddo. Questo ambito di ricerca è visto da lui come “una complessa macchina interdisciplinare che coinvolge non solo i climatologi”; uno studio caratterizzato nelle prime fasi da ricerche basate su delle fondamenta scientifiche ed oggettive, ma che nelle fasi successive può considerare utili anche altri aspetti secondari o indiretti, tra i quali possono essere ritenute meritevoli di attenzione anche le sfaccettature rappresentate dalle testimonianze soggettive dei cronisti del passato, provenienti dai più svariati campi di studio, compreso quello delle riletture e interpretazioni individuali del mondo dell’arte.

AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?

RP/ Il processo si attiva e si sviluppa attraverso osservazioni ed esplorazioni che si suddividono ciclicamente. La diversità delle stagioni, particolari eventi meteorologici o mutevoli ricorrenze ambientali mi portano ad avere un ritmo discontinuo, piuttosto mobile e non pianificabile. Ci sono dei momenti dove l’esplorazione e lo studio sul campo hanno sicuramente la priorità rispetto all’atto pittorico. Viceversa, vi sono periodi durante i quali trascorro la maggior parte del tempo in studio a rielaborare, decifrare e interrogarmi pittoricamente su quanto registrato e vissuto nei luoghi visitati. Tuttavia, è una pratica che cerca di strutturarsi in fasi ben distinte, in modo abbastanza rigoroso, cercando di avvicinarsi e talvolta simulando studi dal carattere tipicamente scientifico. Ad esempio, il processo che porta alle fasi di interpretazione e di rilettura storica dei meteorologi e dei climatologi mi interessa molto: monitoraggio, raccolta dati, archiviazione degli stessi, elaborazione interpretativa ed ipotetica previsione sono alcuni dei momenti cruciali. Aspetti scientifici estremamente utili li ritrovo anche nella figura del micologo, in particolare nelle diverse competenze tipiche del mestiere: identificare e catalogare le diverse varietà di funghi in base ai caratteri morfologici specifici, eseguire analisi macroscopiche, microscopiche e chimiche, riconoscere i diversi ruoli dei funghi nell’ecosistema, individuare larve, impurità e altri elementi nei funghi freschi o secchi, ad esempio. Elementi di studio che, mossi soprattutto dalla passione e dalla potenzialità di creare ipotetiche ibridazioni di linguaggio, rientrano in modo più o meno tangibile nel processo di formalizzazione delle opere.

AC|CC/ Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica, con supporti e materiali. Scelte e affezioni?

RP/ Attualmente scelgo dei supporti facili da trasportare, resistenti a diverse condizioni ambientali ed in grado di sopportare le varie fasi di lavorazione, dalla stesura della bozza sino alle velature finali che contemplano l’uso di vari materiali come la colla di coniglio, la vernice mastice e la trementina veneta. Inoltre, a seconda dei risultati che immagino di poter raggiungere per ogni dipinto, creo di volta in volta delle condizioni ideali per poter passare gradualmente da una fase all’altra del lavoro. Tuttavia, capita sempre più spesso che le idee si trasformino e prendano vita propria a prescindere dagli obiettivi prefissati durante le fasi di progettazione; nel tempo, mi sono reso conto che tendo a concepire anche i lavori più elaborati e compiuti come dei possibili punti di partenza multidirezionali, delle fonti di studio meteoclimatiche alla pari di bozzetti o appunti che lasciano delle questioni in sospeso piuttosto che fornire delle certezze con delle chiavi di lettura sicure. 

AC|CC/ Astrazione o figurazione? 

RP/ Senza alcun dubbio ricerco e restituisco nel mio lavoro dei soggetti facilmente riconoscibili e soprattutto riconducibili, nei casi in cui questi siano slegati dall’habitat originario, al proprio luogo di appartenenza. I titoli stessi corrispondono nella maggior parte dei casi alle coordinate sessagesimali dei paesaggi osservati e, anche negli altri casi, come era tipico fare già negli antichi diari climatici, il titolo descrive oggettivamente il luogo o l’avvenimento meteorologico. Tuttavia, la restituzione pittorica tiene conto di diversi aspetti non sempre controllabili: la sintesi, la mescola, il fuori fuoco, le diverse intensità o virazioni cromatiche, la parcellizzazione, la sottoesposizione e la sovraesposizione possono concorrere a rievocare elementi ignoti o appena percettibili. Altri aspetti come l’analisi, la nitidezza, il disegno, la fedeltà cromatica col dato oggettivo, anche se nel mio caso è un qualcosa da legare indissolubilmente all’aspetto soggettivo, essendo daltonico, propendono nell’individuazione chiara di certi marker iconografici.  

AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?

RP/ Vi sono delle ibridazioni di linguaggi che influenzano molto alcune scelte compositive e stilistiche. Ogni dipinto potenzialmente si avvale di numerosi riferimenti. In una rappresentazione glaciale, ad esempio, non è impossibile, per un occhio allenato ad un certo tipo di immaginario, scorgere dei rimandi a certi tagli fotografici tipici degli studi glaciologici o delle antiche cartoline che si ritrovano nei rifugi d’alta quota. I soggetti autunnali, in particolare quelli micologici, presentano volutamente numerose congruenze con particolari riscontrabili in molte fotografie di catalogazione delle specie fungine tipiche della micologia, ma anche ceste e tavolate legate al mondo dei cercatori di funghi. Vi sono alcuni libri e autori fondamentali per il tipo di ricerca che ho intrapreso: Climate in Art di Hans Neuberger, una ricerca nella quale furono analizzate le coperture nuvolose rappresentate in circa 6500 quadri, fu una delle ricerche che mi aiutarono a strutturare la tesi del triennio ad esempio. Storia culturale del clima di Wolfgang Behringer, Il primo inverno di Philipp Blom e Tempo di festa, tempo di carestia: storia del clima dall’anno mille di Le Roy Ladurie, sono dei libri ai quali sono molto affezionato per la capacità degli autori di creare dei discorsi multidirezionali che spaziano da materie storiche ad altre scientifiche, artistiche e molto altro ancora, con la finalità di spiegare, o quantomeno di avvicinare con interesse i propri lettori verso la mutevole storia del clima. Reputo inoltre molto interessanti le pubblicazioni di Enrico Camanni sul mondo del ghiaccio e della neve, mentre per quanto riguarda il discorso micologico, L’ordine nascosto di Merlin Sheldrake e Saggio sul cercatore di funghi di Peter Handke sono stati due libri particolarmente preziosi da studiare. Dal punto di vista pittorico, per delle specifiche serie di luoghi trattati, personalmente ritengo doveroso osservare attentamente i rimandi cromatici e morfologici di numerosi pittori del passato, più o meno conosciuti. Ad esempio, se dovessi scegliere a memoria delle ricerche che rimangono impresse nella mia mente, dalle quali poter trarre degli spunti e delle osservazioni, non potrei non iniziare dalle atmosfere di Pieter Hercules Segers soprattutto per quanto riguarda lo studio e la resa delle rocce. Ce ne sono molti altri; di Samuel Birmann mi affascinano le indagini e le bozze quasi diagnostiche dei ghiacciai; dai numerosi spunti d’alta quota di Edward Theodore Compton si può comprendere l’assidua frequentazione dell’alta quota in prima persona da parte dell’artista, spesso in condizioni tutt’altro che favorevoli. Anche Abraham Hondius e Jules Tavernier sono tra i pittori che più mi interessano, in particolare per il fatto di essere riusciti a testimoniare tramite la pittura degli eventi che probabilmente non vedremo più per molto tempo, come le glaciazioni di fine Seicento del Tamigi per il primo, e le esplosioni vulcaniche nella Hawaii tra il 1880 e il 1889 per il secondo.

Dall’alto: 45°59’14’’N 9°48’26’’E, 2020. (dipinto con cornice), acrilico, cera, legno, flexoid, resina, 54x40x2,5 cm. Nel regno dei funghi buttata in esaurimento, 2022. , acrilico, olio, trementina veneta, flexoid, vernice mastice, legno, 55x70x4 cm. Per entrambe courtesy dell’artista.

© 2022 BOX ART & CO.

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