PAINT! PAINT! PAINT! | Intervista ad Anna Capolupo

di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco

Alberto Ceresoli|Carmela Cosco/ Che cosa cerchi nella pittura e che discorso sostiene il tuo fare pittorico?

Anna Capolupo/ La pittura è lo strumento con la quale cerco di conoscere me stessa, il mondo che mi circonda e a spostare sempre il punto di vista. Lo faccio attraverso un frammento di una realtà più grande, approfondisco umori, gesti, passaggi di luce, silenzi e momenti di quiete apparente. Come guardare attraverso il buco della serratura. La pittura mi insegna molto di me, penso che ogni lavoro sia in parte autobiografico, sono pagine di un diario quotidiano, che poi bisogna saper leggere e per quello ci serve tempo.  Concentrarsi sul piccolo per comprendere il grande. Mi viene in mente però una frase di Giorgio Griffa letta recentemente: ”Io non rappresento nulla. Io dipingo”. Vorrei che fosse davvero così. Posso dire che intorno all’amore per la pittura ho costruito la mia indipendenza, mi sembra già tantissimo.

AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?

AC/ Il mio approccio al lavoro nasce molto prima di arrivare in studio. Per me la pittura è mentale, ( e non lo dico solo io) parte dalla mente e potrei pensarci per giorni senza toccare un pennello. Passo molto tempo in studio, e spesso girando intorno alle cose. Non ho una pittura veloce e non concludo quasi mai un quadro nella stessa giornata, ho pochissime intuizioni veloci. Io rimugino. E spesso mentre dipingo tutto cambia, non è mai come avevo pensato che venisse. Ho quasi sempre vissuto in studio, completamente immersa nel mio lavoro, ritrovandomi a dipingere in pigiama in piena notte. Ma non dipingo tutti i giorni, ho bisogno di pause, di caricare le energie, di pensare, studiare, fare ricerca e fare altro. Non voglio quantificare, non mi interessa.  Non ho regole ben precise nel progettare un lavoro e non ho nessuna intenzione di darmele. Lo studio è la mia isola felice, ma in realtà come dicevo, il lavoro nasce prima, in altri contesti, in altri luoghi, dove trovo oggetti che mi interessano e che fanno parte del mio immaginario. Giochi, vasi, piante, pezzi di ceramiche di vario genere, fotografie e letture di molti libri.

AC|CC/ Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica. Ci interessa il tuo rapporto con supporti e materiali. Scelte e affezioni?

AC/ Scelgo di lavorare principalmente con i colori ad olio, la superficie però cambia. Passo dalla tela, alla carta agli oggetti su cui intervengo pittoricamente. Mi succede spesso di voler oltrepassare i limiti del telaio, di avere la necessità di varcare quel confine, sperimentando una pittura espansa, quasi scultura, che straborda, rompe i confini e si fa tridimensionale. Che coinvolge e ingloba storie e luoghi. Tutto questo posso sperimentarlo con la carta,  mi permette di creare installazioni site specific in questi termini. Mi succede anche che mi sollevi da una certa pesantezza che la pittura si porta con se. Dipingere su carta  somiglia più a quando ti metti a disegnare senza aspettarti nulla, e tutto sembra più fresco, più vivo e mi permette di astrarre, di non cercare la figurazione a tutti i costi ma di godere anche solo del colore, delle linee e di un segno. Invece, quando dipingo sugli oggetti che assemblo o creo di sana pianta, lo faccio principalmente perché poi diventeranno parte di qualcosa di più grande, di una scena in un quadro o di un’installazione. 

AC|CC/ Astrazione o figurazione?

AC/ In parte credo di avere già riposto nella domanda precedente. Credo di cercare me stessa lavoro dopo lavoro, a volte hai la sensazione che questo stia avvenendo davvero, lo vedi nel lavoro di tutti i giorni, alcune cose diventano più chiare e altri confini si sfumano e si modellano sulla persona che sono. La  mia pittura parte da una figurazione che tocca il limite con l’astrazione, soprattutto nelle opere su carta e su grandi dimensioni dove la leggerezza del segno e del disegno si unisce alla pittura, lasciando un senso di incompiuto o di irrisolto. Proprio come ci si sente a volte. Un salto dello sguardo fra qualcosa di pieno e di vuoto, io sto nel mezzo, in questo salto.

AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?

AC/ Negli anni ho avuto moltissimi riferimenti e sono stata influenzata da artisti che percepivo vicini al mio sentire e che spesso erano stati più coraggiosi di me nel realizzare idee e visioni. Posso dire di guardare sempre al 300-400 italiano, fra Beato Angelico e Piero della Francesca, e ancor prima Giotto, trovo in questi artisti soluzioni sempre stupefacenti e così moderne. Sono un’innamorata di Pontormo, dei suoi colori. Ora sto riscoprendo Tintoretto, penso spesso al notturno nel “La preghiera nell’orto”, esposto alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia. Qualcosa durante le mie giornate mi riporta lì, davanti a quel quadro. Poi c’è Morandi che mi emoziona sempre, e ho guardato ad artisti come Neo Rauch e Philip Guston, ma anche a Katharina Grosse, Dana Schulz e tutte le surrealiste ancora poco considerate, Leonor Fini, Leonora Carrington di cui adoro anche i libri e che è stata capace di accompagnarmi in viaggi intimi e onirici in cui ripercorro la mia infanzia attraverso il mondo dei sogni, poi ancora Meret Oppenheim e Louise Bourgeois per la sua forza delicata e devastante allo stesso tempo. Questo è solo un piccolo elenco, vivo delle ossessioni per certi artisti, mi piacciono le biografie e inizio a studiarli, mi ci butto a capofitto. Recentemente ho visto dal vero l’Odalisca di Ingres, mi ha turbata. Non si smette mai di imparare e si rubano piccole cose da molte artisti in tutto quello che facciamo.

Dall’alto: Un animale domestico, 2021. Olio su carta, 4,50×2,50m. Io, tu, Gino e altra gente, 20121. Olio su tela, 100×100 cm. Per entrambe courtesy dell’artista.

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