dal 16 giugno al 4 novembre 2018
di Valentina Tebala
Palermo, nello stesso 2018 in cui è Capitale Italiana della Cultura, si è fatta travolgere da Manifesta: biennale nomade alla sua 12° edizione che ha aperto al pubblico il 16 giugno scorso invadendo la città attraverso un sistema diffuso e capillare di mostre, installazioni, video, performance, interventi urbani e progetti letterari disseminati fra una ventina di sedi differenti (la maggioranza concentrate nell’antico quartiere arabo della Kalsa) e presentando lavori di circa cinquanta artisti e collettivi. Giornalisti e operatori del settore giunti da ogni parte del mondo si sono riversati dunque fra le strade, le piazze, le viuzze afose e i localini della Vucciria, vivendo l’opportunità e la meraviglia di scoprire una città che in qualsiasi suo angolo potrebbe svelarti qualcosa di magico. E su questo aspetto, chi Palermo la conosceva già anche solo un pochino non aveva dubbi. Ma addirittura, l’impressione generale sostenuta e ribadita da più parti sin dai primi giorni dell’opening, è che il “sublime palermitano” abbia surclassato di gran lunga le opere d’arte disseminate nel tessuto cittadino. Perciò, forse, è più vero il contrario di quanto detto in apertura. Palermo ha travolto e fagocitato Manifesta, la quale ha rischiato in più occasioni di collassare su se stessa laddove non è riuscita a mantenere saldo, nelle differenti sedi e sezioni, un concept curatoriale sì calato a pennello (e sostanzialmente forte in termini di intenzioni, contenuti e metodo) nei tempi e nei luoghi del contesto generale e particolare in cui andava ad agire, ma talvolta dimostratosi fragile. Fragile visibilmente nelle opere stesse: tante – quando va molto male – scadono in una prevedibile o ridondante retorica postcoloniale supportata da soluzioni formali non propriamente esaltanti e originali. I lavori meno ingenui sono quelli che non insistono nel forzare la mano con facili disposizioni di stampo politico e socio-culturale, alcune esplicitate al limite del documentaristico (accade specialmente nei, troppi, video), e che non si subordinano allo sfacciato protagonismo dell’ambiente che li circonda. La particolarità della scelta del team di Manifesta12 di location non convenzionali come gallerie o musei ma «iconiche» e «contraddistinte da un particolare carattere e valore storico, sociale e politico», come alcuni degli splendidi palazzi e istituti del centro palermitano, ha indotto ad attuare una strategia che spesso ha messo in secondo piano l’opera agli occhi del visitatore; gli spazi hanno finito per polverizzare le opere. Non è la regola, per fortuna: molti lavori hanno saputo interpretare i contenuti della biennale e il contesto d’azione con progetti carichi di potenzialità e visioni critiche, inedite e sorprendenti.
Il progetto curatoriale sviluppato dai Creative Mediator di Manifesta12, si intitola ‘Il Giardino Planetario. Coltivare la Coesistenza’ interpretando la città di Palermo come il risultato di un sincretismo di culture mediterranee che la rendono un modello in costante evoluzione, proprio attraverso la metafora botanica di Gilles Clément del giardino come luogo in cui «forme di vita diverse si mescolano e si adattano per convivere. Spazi in cui l’impollinazione incrociata – espressione utilizzata in botanica – avviene attraverso l’incontro». Il Giardino Planetario si compone di tre sezioni: ‘Garden of Flows’, ‘Out of Control Room’ e ‘City on Stage’, attraverso un programma che ha lavorato con la città conducendo una ricerca preliminare sulle sue complessità urbanistiche, culturali e sociali tramite il supporto di una squadra di mediatori, educatori e art producer, che ha sviluppato azioni sul territorio coinvolgendo in particolare il pubblico locale dei cittadini. La sezione ‘Garden of Flows’ è quella che riflette maggiormente – e forse al meglio – il cuore pulsante della biennale esplorando la vita vegetale e la cultura del giardinaggio intesa in senso ampio, includendo pratiche di studio sperimentale, creativo o partecipativo e di “cura” da parte dell’uomo verso le piante in relazione alle risorse del pianeta ma anche alla propria individualità o socialità. All’interno del magnifico Orto Botanico, Leone Contini con Foreign farmers brevetta un giardino per l’acclimatazione e la coabitazione di semi “migranti” provenienti da varie parti del mondo e raccolti in dieci anni dallo studio delle colture di contadini stranieri residenti in Italia. Totalmente diverso e, si potrebbe dire, concettualmente più empatico, l’approccio al mondo vegetale proposto dal video Pteridophilia di Zheng Bo sul tema eco-queer, un’esplorazione e una visione senza dubbio originale nel suo genere. Il settecentesco Palazzo Butera – una delle più affascinati e acclamate sedi di questa Manifesta12 – che si affaccia sul porto di Palermo, racchiude opere tra le più riuscite sul piano dei contenuti e del rapporto con lo spazio che le ospita: Maria Thereza Alves con Una proposta di sincretismo presenta un mosaico di piastrelle ritrovate nelle bancarelle del mercato di Piazza Marina, il quale riporta un motivo ornamentale molto comune nella tradizione palermitana che raffigura coloratissimi uccelli esotici (nella fattispecie pappagalli brasiliani) insieme a uccelli locali. Il collettivo Fallen Fruit propone il bellissimo progetto Theatre of the Sun che comprende una surreale installazione immersiva realizzata con carta da parati che riempie l’intera stanza e delle mappe – Public Fruit Map – che indicano tutti gli alberi da frutto presenti in città, con lo scopo di invogliare la popolazione a non trascurarli ma anzi a riscoprirli e proteggerli facendone una ricchezza condivisa dalla quale ognuno possa liberamente attingere. Ancora, Renato Leotta con il lavoro Giardino realizza un’opera ambientale e concettuale in cui l’immaginazione del fruitore è chiamata a visualizzare all’interno di una sala del palazzo un giardino ideale che rivela le prove tangibili del suo ciclo di vita nelle tracce lasciate dalla caduta dei limoni dagli alberi sulle maioliche di argilla cruda della pavimentazione. Luce, un film in 16 mm descrive frame visivi del paesaggio agricolo.
La sezione ‘Out of Control Room’ si sofferma su un’altra microtematica del complesso e sfaccettato concept predisposto dalla biennale, rappresentando forse la più ripetitiva e meno sbalorditiva sia nelle tematiche che nei medium utilizzati dagli artisti: soprattutto video, appunto, alcuni davvero difficili da fruire in mostra, troppo documentaristici e anche di lunga durata. Riguardo la linea tematica, questa sezione si volge alla trattazione di casi di sfruttamento e abusi da parte di governi e poteri forti – spesso legati al malaffare – nei confronti dell’umanità, della sua sana e pacifica convivenza, e nei confronti del paesaggio, contro i quali si sono levate azioni organizzate dalla società civile costituendo reti umane unite da uno stesso obiettivo di rivendicazione dei propri diritti. Per esempio, nella sede di Palazzo Ajutamicristo, Tania Bruguera ha realizzato un progetto sviluppando una serie di iniziative con gli attivisti del movimento No Muos oltre al recupero ed esposizione dei loro più importanti documenti d’archivio. Oppure si riflette sulle reti immateriali ma altamente invasive per le nostre vite, come quelle costruite da internet: Citizien Ex di James Bridle. Filippo Minelli, la Ourahmane e il collettivo berlinese The Peng! si concentrano invece sulle politiche e i drammi dell’immigrazione clandestina, sui diritti allo spostamento e alla salvaguardia dell’identità culturale dei popoli. Ma a Palazzo Ajutamicristo l’opera più suggestiva, che si impone per un impianto complessivo forte e minimalista, è probabilmente Steel Rings di Rayyane Tabet: una scultura in metallo che attraversa un’intera stanza riproducendo il vecchio oleodotto abbandonato che dal 1950 al 1983 serviva al trasporto di petrolio dall’Arabia Saudita al Libano attraversando Giordania, Siria e le Alture del Golan, e dunque oggi unico e desolato anello di congiunzione di territori chiusi nei propri confini geopolitici. A Palazzo Forcella De Seta, gode del medesimo consenso per impatto visivo ed emozionale la fotografatissima montagna di sale – accompagnata da un video – di Patricia Kaersenhout, che ricorda la leggenda tramandata dalla tradizione caraibica sugli Africani Volanti, schiavi che evitavano di mangiare il sale per divenire un giorno talmente leggeri da poter volare e far ritorno all’amata terra d’Africa. I visitatori sono invitati a raccogliere una bustina di quel sale, portarlo a casa e scioglierlo nell’acqua compiendo una sorta di rito che simboleggerà il «dissolversi del dolore del passato» (The Soul of Salt). Invece, Kader Attia presenta un film-documentario che propone un’intensa riflessione sulla trasformazione e la repressione del corpo post-coloniale nell’epoca contemporanea. In un certo senso è dedicata a Palermo la terza sezione ‘City on Stage’ che rappresenta il tentativo più esplicito di Manifesta12 di agire e interagire appieno nel e con il tessuto cittadino, con una Palermo contemporanea profondamente stratificata di culture e tradizioni. Si lavora in luoghi o spazi pubblici anche periferici e difficili, insieme ai cittadini e ai gruppi locali. Come accade nel quartiere ZEN con il progetto Becoming Garden a cura dello stesso Gilles Clément e dello studio di progettazione multidisciplinare Coloco: in questo caso la creazione di un giardino su un terreno abbandonato ha l’obiettivo di coinvolgere e stimolare gli abitanti a prendersi cura degli spazi condivisi, diventando giardinieri e parte attiva di un processo di riappropriazione consapevole e rispettosa dei luoghi abitati. Con l’intento di una totale coesione con la comunità lavora anche Marinella Senatore, che per l’occasione ha strutturato una coloratissima performance, a suon di musica e passi di danza, andata in scena durante una delle giornate inaugurali per le strade del centro storico di Palermo: sono espliciti i riferimenti ai tipici rituali civili e religiosi, in un happening aperto a tutti «per sottolineare i valori dell’emancipazione e della legittimazione». Posteggiato nell’atrio di Palazzo Costantino è il vecchio furgone trasformato dai MASBEDO in “video-carro” itinerante ed interattivo che attraverso monitor e schermi al suo interno diventa un inedito dispositivo narrativo dei luoghi che in giro per la città hanno accolto set cinematografici, raccontando contemporaneamente la storia della società siciliana, il genius loci, la coraggiosa lotta contro la mafia e le sue nefandezze. Videomobile insieme a Protocollo no. 90/6, maestosa video installazione allestita all’Archivio di Stato, conferma i MASBEDO fra gli artisti più apprezzati dal pubblico e dalla critica dell’intera biennale.
Parallelamente al programma principale di Manifesta12 e alle numerose iniziative del Public Programme (conferenze, workshop, proiezioni, cene e concerti), Palermo ospita il programma 5x5x5 e una serie di eventi collaterali realizzati in collaborazione con artisti e realtà indipendenti locali e non, musei, gallerie e istituzioni culturali. Alcuni di essi si sviluppano ancora – e non ci sorprende – all’interno di palazzi storici dalla bellezza fatiscente, come accade per il seicentesco Palazzo Oneto di Sperlinga dove al piano nobile spicca la grande installazione con le luminarie di Massimo Bartolini, Caudu e Fridu, presentata da Fondazione Volume!, mentre al piano superiore (che include anche la collettiva ‘Ghostspace’) crediamo meriti una menzione particolare il complesso e riuscitissimo – in termini di dialogo sensato e consapevole fra spazio e operazione-sublimazione artistica – il progetto installativo ideato dal siciliano ma calabrese d’adozione Ninni Donato per la mostra ‘Survival Outfit’ a cura di Giuseppe Capparelli. La lettura del lavoro può avvenire su più livelli, stimolando anzi nel visitatore una sempre più profonda e sfaccettata serie di rimandi e significati non solo sul luogo, sul suo vissuto storico e quotidiano, sul contesto e sulla materia, ma attivando anche una metariflessione sull’arte e le sue potenzialità che riaprono mondi e narrazioni, ribaltano luoghi comuni, lasciando scaturire suggestioni nuove e inaspettate. Altro intervento azzeccato, sia nella presentazione che nella sostanza, ospitato dentro l’ex Chiesa di San Matteo ai Crociferi è a firma di Alterazioni Video con il progetto Incompiuto. La nascita di uno stile. Ma oltre alle esposizioni che si accompagnano al racconto di un’«iconica» Palermo alto-borghese descritta nelle sue splendide e sontuose ville e palazzi storici del centro magari affacciati sul mare, oppure – all’opposto – delle iniziative satelliti che agiscono sulle complessità di una Palermo più popolare e verace, esiste un’altra dimensione della vita cittadina, ugualmente autentica, che è rappresentata dalla Palermo “meno eccezionale” e omologata della medio borghesia all’incirca contemporanea. A questo tipo di contesto si è ancorato ‘Il Fungo di Carrubo’, un programma di Flavio Favelli, Giuseppe Buzzotta e Toni Romanelli che ha presentato materiali e idee di un dialogo nato dalle suggestioni e ispirazioni culturali provenienti dal carteggio intercorso dal 1953 al 1972 fra Leonardo Sciascia e Roberto Roversi, all’interno dell’ex negozio ‘Fenomeno’ – «di un’attualità comune e globale» – nella centralissima Via Roma. Last but not least, concludiamo la nostra ricognizione con uno dei progetti collaterali più lungimiranti sviluppatosi attorno a Manifesta12, che ha saputo filtrare bene il concetto di “coesistenza” attraverso l’arte contemporanea intavolando una vera e propria idea di network tra diverse realtà indipendenti (e altrettanti artisti) diffuse su tutto il territorio italiano, al fine di incentivare cooperazione e scambio reciproco: il progetto ‘Border Crossing’ ideato da Bridge Art in collaborazione con Dimora Oz e Casa Sponge. Ce lo raccontano direttamente le parole dell’artista, performer e fondatore di Casa Sponge, Giovanni Gaggia: «Quando iniziammo a discutere di Border Crossing con Lori Adragna, le nostre parole ruotavano spesso sull’importanza del gesto di aprire le porte; un’azione mai come oggi importante. Quando si traccia questo segno, si accoglie l’altro fisicamente e ci si mette a nudo, esponendo anche i lati più bui. Per me era necessario innescare un pensiero che volgesse all’ascolto, alla comprensione e alla condivisione. Un avvicinamento reale, umano, che ripartisse da Palermo. Il dialogo, la parola e l’incontro per noi di Casa Sponge sono fondamentali: da a.M.o a Transpolitica, passando per ICEcubes ed EffettoFarfalla. Azioni di questo tipo ti impongono di esporti e uscire allo scoperto. Perché a discapito di quello che dicono i più, per noi l’arte può cambiare il mondo e la parola è il mezzo che avvicina, quindi è capace di innescare questo processo. Per questa ragione abbiamo voluto a Palermo con noi chi si occupa di residenza, costruendo una strada della parola e traccia di chi nella propria terra agisce, dalle dolomiti alla Sicilia, passando per le Marche e la Calabria, costruendo un cerchio di sedie nel giardino di Piazza Magione per Coltivare la Coesistenza».
Dall’alto:
ZHENG BO, Pteridophilia, 2016, video_photo by Wolfgang Träger_Courtesy Manifesta 12, Palermo
FALLEN FRUIT, Theatre of the Sun, 2018, tecnica mista_photo by Wolfgang Träger_Courtesy Manifesta 12, Palermo
PATRICIA KAERSENHOUT, The Soul of Salt, 2016, installazione_photo by Wolfgang Träger_Courtesy Manifesta 12, Palermo
MASBEDO, Videomobile, 2018, installazione multimediale_photo by Wolfgang Träger_Courtesy Manifesta 12, Palermo
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