PEOPLE ART

CONOSCENZA E INTROSPEZIONE DELL’ARTE

Alberto Salvadori

“Quella strana zona che chiamiamo “arte” è come una sala tutta specchi, o una galleria acustica in cui sono percettibili da lontano i minimi sussurri. Ogni forma evoca mille ricordi e immagini secondarie. Non appena un’immagine è assegnata all’arte, viene a crearsi un nuovo nesso di rapporti al quale l’immagine non può sfuggire.” (E.H. Gombrich). Nella mia giovinezza incontrai anche questo libro dal titolo eccezionale A cavallo di un manico di scopa dal quale sono tratte le parole con le quali ho iniziato questa breve introduzione al mio lavoro. Decisi di studiare Storia dell’arte per poter conoscere, o almeno pensare di imparare un po’ a conoscere, la storia degli Uomini attraverso l’arte, grazie alle molteplici manifestazioni del fare arte. A cavallo di un manico di scopa si desidera stare fin da piccoli, si può volare, sognare, incontrare e conoscere senza limiti e confini tutto e tutti. Per me l’arte è questo: poter stare con i pie- di per terra volando in continuazione. Da quegli anni è passato un bel po’ di tempo, ho compiuto un percorso di studi classico e pieno di incontri fortunati. Individui eccezionali hanno contribuito affinché capissi meglio le mie passioni e trasmesso un grande senso di necessità di sviluppare una coscienza della conoscenza come elemento determinante al fine di sentirsi liberi e affrontare al meglio ciò che siamo e ciò che facciamo. Ho avuto la fortuna di condividere gli anni della formazione con persone molto intelligenti e preparate; questa fortuna ha continuato ad assistermi anche in seguito nel contesto dove ho lavorato e continuo ad averla, poiché credo fermamente che ci si debba impegnare per convivere con soggetti di grande qualità umana e professionale al fine di migliorare la propria condizione di vita. Non amo lo specialismo e il tecnicismo e ho posto sempre al centro delle mie ricerche e della mia professione una visione e interpretazione umanistica della cultura e della vita; il vivente in tutte le sue forme ed espressioni è adesso il centro dei miei interessi.
Negli anni trascorsi a Palazzo Pitti alla Galleria di arte moderna – ben sette – ho imparato molto dal silenzio che mi circondava ogni volta che attraversavo le sale della Palatina per poi salire alla Moderna, da solo. Osservavo tutti i giorni un’infinita rassegna di capolavori, allestiti per la maggior parte ancora, per fortuna a mio parere, senza seguire la monotona e oggi politically correct museografia che affligge quasi tutti i musei. Mi sentivo esattamente in quella sala di specchi di cui scriveva Gombrich: i dipinti e le sculture, gli arredi straordinari, i dettagli meravigliosi di quegli ambienti mi ponevano in ascolto con me stesso.
Ho imparato lì più che altrove come l’arte possa essere uno strumento potentissimo di conoscenza e introspezione, come possa metterti di fronte al reale e alla realtà senza un problema di tempo; come sia fondamentale il concetto di universalità e come altrettanto sia necessario fuggire dal giudizio e costruire una propria consapevole identità. Finito questo periodo ho iniziato a lavorare alla Fondazione Marino Marini di Firenze: un luogo straordinario. Proprio dal concetto di identità sono partito per costruire un percorso lungo dieci anni realizzato assieme a un presidente illuminato e soprattutto agli artisti da tutto il mondo che hanno reso possibile quella scommessa. In quel luogo ho trovato la condizione ideale: essere all’in- terno di un’architettura medievale reinterpretata da un genio umanista come Alberti e aver riaperto al pubblico, dopo duecento anni, il suo gioiello architettonico concettuale, la Cappella Rucellai. Lavorare poi su un dialogo a quattro sul fattore tempo, ossia il rinascimento, il tardo modernismo intriso di arcaismo di Marino Marini, il tardo brutalismo dell’ultimo restauro a cui venne sottoposto l’edificio dedicato al museo e gli inviti a realizzare progetti ad hoc a decine di artisti contemporanei da tutto il mondo, è stato il compimento di quell’universalità che tanto mi attrae e dalla quale non riesco ad allontanarmi. Alcuni curatori e direttori di musei dichiarano che sono interessati alle opere non agli artisti, ecco io non la penso così: mi interessano le persone e le loro opere. Avere un’identità è fondamentale e il museo o l’istituzione culturale deve averla per assolvere al meglio la sua funzione che è quella di servizio pubblico. Da questo percorso nasce la mia pratica di lavoro come un esercizio collettivo di produzione culturale per la comunità: ecco come nasce anche ICA Milano. Il tutto si realizza attraverso un modello di compartecipazione di molti soggetti che stanno mettendo a disposizione del progetto la loro professionalità e le loro esperienze. Credo molto che l’obiettivo principale del nostro mestiere, del nostro mondo sia fare kin ovvero generare parentele grazie alle connessioni inventive di tutti i partecipanti. Fare disordine e creare problematiche per cercare e scatenare risposte adeguate: sono convinto che l’arte e la cultura abbiano questo ruolo e noi dobbiamo essere capaci di interpretarlo e compierlo.

Firenze, 15 marzo 2020, XVII giorno di isolamento COVID19.

Alberto Salvadori è Direttore Artistico di ICA Milano.

Alberto Salvadori in un ritratto di © Dario Lasagni. Courtesy Alberto Salvadori.

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