Il mio percorso nel mondo dell’arte inizia con un incontro che credo accomuni molte delle persone che oggi lavorano in questo ambito, ovvero quello con l’arte per come viene filtrata dall’educazione secondaria in un contesto provinciale. Nella mancanza di esposizione alla cultura contemporanea caratteristica della provincia italiana – e nella bassa considerazione del lavoro artistico, altrettanto caratteristica del nostro paese in generale – la responsabilità che ricade su chi insegna in questi contesti è davvero enorme. Nel mio caso, incontrare una professoressa di storia dell’arte che ci spronava a viaggiare per esplorare il contemporaneo è stato di un’importanza incalcolabile. Può sembrare forse secondario da raccontare in questo contesto, ma altrettanto incalcolabile è stato, a livello personale, crescere in una famiglia di donne che per scelta o per necessità hanno portato avanti la loro vita da sole, lavorando instancabilmente per mantenere la propria indipendenza. Ho realizzato solo più tardi che, pur nella loro durezza, le loro esperienze sono state esempi fondamentali per immaginare il mio percorso, per sentirmi legittimata ad ampliare il mio sguardo verso orizzonti che non sarebbe stato strutturalmente possibile incrociare altrimenti, e che spesso restano possibilità inesplorate per persone che non hanno avuto accesso alla stessa storia.
La mia formazione in ambito artistico e curatoriale è avvenuta in diversi luoghi, ma un pensiero speciale per me è sempre dedicato alla facoltà di arti visive e dello spettacolo dello IUAV, a Venezia. Lo IUAV era un luogo che coadiuvava il confronto diretto con figure che lavorano nell’ambito dell’arte contemporanea internazionale, ma che aveva anche un approccio dichiaratamente interdisciplinare – penso che i corsi di teatro e filosofia che ho seguito abbiano influito sul mio approccio curatoriale tanto quanto quelli più specificamente artistici. Lo IUAV, e la comunità che gravitava intorno all’università, mi hanno insegnato moltissimo a livello di metodologia. Una lezione che ritengo preziosa ancora oggi, ad esempio, è la tendenza a ragionare in termini di progetto, il tentativo di applicare una pratica progettuale alla realtà. “Progettare”, e questo vale per le arti visive come per molti altri ambiti della vita, significa rispondere attivamente a un contesto dato secondo un metodo sperimentale – che procede per tentativi, errori, piccole scoperte – e fondato sulla collaborazione. Anche se, nel nostro ambito, spesso questo viene di fatto invisibilizzato dalla mitizzazione della figura dell’“artista geniale”, ogni risultato è sempre frutto di un lavoro di concerto, in cui ogni persona e professionalità coinvolta è rilevante per il tutto, e in cui l’attività di chi c’è stato prima di noi ha un valore essenziale per ciò che possiamo realizzare oggi. Prendere atto di avere una agency progettuale sul mondo implica l’importanza di mettere in moto una riflessione critica sulla realtà, abbracciando la responsabilità etica dell’attività culturale. Questo è stato un orizzonte ideale a cui guardare mentre sviluppavo i miei progetti come curatrice indipendente. Nel corso degli anni ho lavorato a mostre e public programme per istituzioni di diversa scala e natura in Italia e all’estero: da progetti indipendenti legati a una cultura profondamente DIY a programmazioni pensate per istituzioni internazionali di ampio respiro. In entrambi i casi mi sono sempre sentita legata ad una tradizione che vede la curatela come una pratica che proviene più dall’esperienza della critica istituzionale che dalle discipline museali.
La curatela è stata per me importante prima di tutto come esercizio di pensiero, e come attività in grado di sviluppare degli strumenti (le mostre, la scrittura, i public programme, i processi formativi e laboratoriali) attraverso cui una collettività di persone può tentare di costruire nuove forme di conoscenza, nuovi modi di guardare al mondo. Il momento di condivisione con il pubblico è poi quello in cui queste forme di conoscenza vengono esperite, testate – a volte consolidate, a volte rinegoziate. È il momento in cui assumono una forma pubblica nella realtà, e quindi guadagnano un peso storiografico e un valore inevitabilmente politico. Gli ultimi anni del mio percorso professionale sono stati segnati dall’incontro di questa visione curatoriale con le posizioni che ho ricoperto all’interno delle istituzioni museali da un lato (oggi come Chief Curator di Pinacoteca Agnelli) e con la mia attività nell’associazione AWI – Art Workers Italia dall’altro. Lavorare all’interno dell’istituzione museale mi ha permesso di vedere da vicino le contraddizioni e allo stesso tempo le grandissime potenzialità dei musei come piattaforme dove esplorare e restituire le complessità del tempo in cui viviamo. In Pinacoteca questo ha significato, per il team curatoriale, costruire una nuova missione per l’istituzione, misurandosi con la complessa storia dello spazio che la ospita – l’iconica ex fabbrica FIAT del Lingotto – e sfidando la visione canonica della storia dell’arte rappresentata dalla sua collezione permanente. Ciò che tentiamo di fare con le progettualità di Pinacoteca è riattivare il museo, immaginandolo come un motore che può innescare nuove riflessioni sul passato attraverso le urgenze della contemporaneità, abbracciando il ruolo civico e sociale a cui può ambire. L’attività dentro ad Art Workers Italia, la prima organizzazione nata in Italia per dare voce a chi lavora nel nostro settore, è per me un irrinunciabile e costante contrappeso al mio lavoro come curatrice. Co-fondare e fare parte di AWI in questi anni è stato un arricchimento fondamentale della persona che sono, non solo per i risultati ottenuti dall’associazione a livello di riconoscimenti e tutele per chi opera nel nostro settore, ma prima di tutto per il processo collettivo di autoformazione che mi ha permesso di fare insieme alle altre persone che operano al suo interno. Nel contesto di una riforma del lavoro nell’arte che ha un respiro di scala strutturale, l’attività tecnica e politica macroscopica che portiamo avanti con AWI coincide con l’intima emozione personale di star prendendo parte a un cambiamento culturale costruito e condiviso insieme.
Lucrezia Calabrò Visconti è Chief Curator della Pinacoteca Agnelli e Co-fondatrice di AWI- Art Workers Italia.
Un ritratto di Lucrezia Calabrò Visconti. Courtesy MYBOSSWAS e Pinacoteca Agnelli.
alle pagine 12-13 del n. gennaio-marzo di SMALL ZINE
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