QUANDO LA PAURA MANGIA L’ANIMA | Artur Żmijewski

a cura di Diego Sileo

dal 29 marzo al 12 giugno 2022

PAC di Milano

Nel 2005 Artur Żmijewski ha rappresentato la Polonia alla 51a Biennale di Venezia e tra le sue tante partecipazioni a mostre ed eventi internazionali si ricordano documenta 12 (2007), Manifesta 4 (2002) e documenta 14 (2017). Nel 2012 . stato curatore della 7a Biennale di Berlino.

La mostra, a cura di Diego Sileo, presenterà una selezione di lavori storici e recenti, incluse tre nuove opere pensate appositamente per questo progetto milanese e prodotte dal PAC, come il nuovo film ispirato al cinema scientifico del neurologo Vincenzo Neri e la serie fotografica Refugees/Cardboards, un lungo murale fotografico in bianco e nero dal quale emergono figure umane che hanno l’aspetto di profughi, uomini e donne circondati dall’oscurità e dalla desolazione. Il riferimento . ai tanti rifugiati al confine polacco-bielorusso durante l’estate e l’autunno del 2021, ma che oggi inevitabilmente sono l’immagine anche delle attuali oppressioni belliche in Ucraina.

Żmijewski (Varsavia, 1966) lavora quasi esclusivamente con i mezzi artistici della fotografia e del film, ma non mancano nella sua produzione anche alcune sculture realizzate agli esordi della sua carriera in collaborazione con Pawel Althamer, che saranno presentate per la prima volta al PAC. Żmijewski ha iniziato la sua formazione artistica a metà degli anni ‘90, insieme, tra gli altri, a Katarzyna Kozyra e Pawel Althamer, nella leggendaria classe di scultura del professor Grzegorz Kowalski all’Accademia d’Arte di Varsavia. Le immagini di Żmijewski sembrano a prima vista puramente documentarie, ma la messa in scena analitica e precisa dell’artista . evidente anche nella scelta della cornice e del montaggio. E sebbene Żmijewski consideri troppo limitati gli strumenti a disposizione per le opere scultoree, non ha mai perso il suo interesse per il tema classico della scultura: la rappresentazione del corpo umano.

La sua opera riflette la preoccupazione per i problemi socio-politici della nostra contemporaneità e attraverso di essa l’artista esamina frequentemente i meccanismi del potere e dell’oppressione all’interno dell’ordine sociale esistente – così come i conflitti di vario tipo che rasentano la violenza – mentre espone l’istintiva inclinazione umana al male. I suoi lavori indagano la relazione tra le emozioni estreme e le loro espressioni fisiche, si occupano dell’interruzione del corpo umano e del funzionamento cognitivo in casi complessi come la malattia o la disabilità, analizzando anche i meccanismi della memoria e del trauma collettivo.

Usando la simbolizzazione, Żmijewski stabilisce un intricato sistema di rappresentazione in cui la paura si dispiega in termini di controllo sociale. Quando la paura diventa padrona della nostra vita, si può essere tentati da meccanismi travolgenti o si può accettare masochisticamente il giogo della sottomissione; oppure si possono interpretare i due ruoli contemporaneamente.

O semplicemente si può provare a capire quando la paura divora la nostra anima.

Come ci spiega Rainer Werner Fassbinder nel suo film del 1974 – cui il titolo della mostra vuole rendere omaggio – “la paura mangia l’anima” . un’espressione usata da arabi e nordafricani per descrivere la loro condizione di immigrati. Una vita piena di paura, una paura esistenziale di tutto e di tutti. Paura di un ambiente straniero e ostile, paura di non poter rivedere i propri cari, paura della solitudine, paura della morte, paura della povertà, paura di essere dimenticati, paura che nessuno ti amerà, paura di un razzismo di Stato. Nel progetto espositivo del PAC, la paura è anche quella della malattia, dei disturbi mentali e della disabilità, quella paura di non essere accettati, capiti, la paura del diverso da noi, la paura di ciò che non sappiamo e che ci spaventa.

OPERE IN MOSTRA

L’installazione video Realism, 2017, racconta in sei video distinti sei uomini con arti amputati che si muovono nella loro quotidianità, che fanno esercizio, che vanno al lavoro e tornano a casa. Żmijewski ha contattato veterani di guerra russi che hanno combattuto nel conflitto russo-ucraino (2014-oggi) e che hanno perso una gamba in combattimento o a causa delle mine. Tutti e sei gli uomini protagonisti dell’opera eseguono gli stessi semplici gesti ed esercizi. Spesso sembrano fissare lo spettatore dall’inquadratura, mostrandoci silenziosamente la loro disabilità e come lottano per superarla. I corpi rappresentati diventano un’interfaccia con le politiche del corpo. E’ attraverso il corpo che veniamo definiti e identificati dalla società come esseri politici. I sei film alternano momenti di pathos, bellezza, ma anche disagio e sofferenza. A volte Żmijewski sembra quasi allontanare gli spettatori, che a un certo punto si domandano se il lavoro è un commento sugli orrori della guerra o sulla resilienza umana.

An Eye for An Eye presenta persone i cui arti sono stati amputati e che hanno una relazione ravvicinata, quasi intima, con altre figure non disabili che “prestano” a loro i proprio arti affinché possano ancora camminare su entrambe le gambe o lavarsi con entrambe le mani. Il corpo mutilato ritorna quindi ad avere quelle parti mancanti. Le coppie, in questa forma di simbiosi, cooperano senza alcuna difficoltà, formando un insolito doppio essere umano, ma entrambe le parti al contempo soffrono questa vicinanza invadente di un’altra persona e la conseguente violazione del proprio spazio intimo.

Glimpse, 2017, . stato girato con una fotocamera analogica 16 mm a Berlino, Calais, Grande-Synthe, vicino a Dunkerque, e a Parigi. Il film è un tentativo di definire un gruppo specifico di persone in base alle loro caratteristiche fisiche e alle loro abitudini. Di solito si tratta di qualità o comportamenti che mortificano queste persone agli occhi dello spettatore: i loro aspetti trasandati, il loro abbigliamento consumato, il fatto di mettersi in fila per il cibo, le loro abitazioni improvvisate e decadenti, l’interno delle tende dove vivono. Lo stile ricorda indubbiamente il cinema girato nei ghetti e presuppone uno sguardo specifico e indagatorio a gruppi segregati e isolati, lunghe riprese di una persona dalla testa ai piedi, ripetuti fotogrammi incentrati sulle loro vite distrutte che, in sostanza, innescano negli spettatori un parametro di giudizio.

La serie fotografica In Between, 2018, costituisce il proseguo dell’analisi di Żmijewski sulla crisi migratoria mondiale iniziata nel 2016 con il progetto Glimpse. Le fotografie sono state scattate a Parigi con una vecchia macchina fotografica a piastre Voigtlander. Stilisticamente le immagini ricordano le fotografie di propaganda etnografica della prima metà del XX secolo. Con tecnica analogica e con motivi e gesti carichi di problemi Żmijewski documenta senza compromessi la povertà e la disperazione del nostro presente attuale.

Democracies, 2009, . una complessa installazione video esplicitamente cacofonica. Żmijewski qui esplora la libera espressione dell’opinione pubblica sotto forma di assembramenti e folle in diversi luoghi d’Europa, spostando quindi il suo lavoro dalla sua tipica sfera di esperimenti sociali in scena a un’ampia gamma di avvenimenti osservati a distanza ravvicinata. L’artista ha, ad esempio, giustapposto un’aggressiva manifestazione anarchica anti-NATO a Strasburgo, una manifestazione anti-aborto in Polonia e raduni contro e pro-guerra in Israele con eventi come la ricostruzione delle battaglie della rivolta di Varsavia, il funerale di J.rg Haider e le scene di una Via Crucis a Varsavia. Nel 1995, l’anno prima di Me and Aids, Żmijewski realizza un film con Katarzyna Kozyra (Temperance and Work) in cui i due si danno fastidio fisicamente a vicenda fino all’estremo, rivelando un aspetto opprimente dell’interazione fisica tra donne e uomini. In Me and Aids, invece, una donna (Eliza Twar.g) e due uomini (Mariusz Maciejewski e lo stesso Żmijewski) compiono un rituale doloroso: urtarsi l’un l’altro con i loro corpi nudi sottoposti a dolore diretto, trattati come oggetti alienati. Secondo Żmijewski l’aspetto pi. importante del film è la collisione di due persone, analoga al pericolo della vita reale, con il titolo “AIDS” che è un compimento simbolico ed esistenziale di questa collisione.

Żmijewski configura cos. una nuova dimensione della corporeit., che mette in crisi l’idea stessa dell’identità. Nell’immagine corporale che ci propone nei suoi lavori noi non ci riconosciamo (o abbiamo paura di riconoscerci): assistiamo alla fusione dell’animale e dell’umano, all’ambivalenza delle frontiere e alla debolezza dell’esistenza. I suoi “mostri” non giungono dall’esterno, non sono prodotti della magia, ma al contrario sono dentro di noi, sono i nostri stessi corpi. Żmijewski porta all’estremo le forme del dolore, fisico e mentale, mettendo in circolazione l’idea di una “nuova carne”, una sorta di superamento del limite corporale e psicologico dell’individuo. La “nuova carne” designa un fenomeno di natura mista e volubile, dal momento che il processo di metamorfosi rende possibile l’esistenza di un ente ibrido in cui possono combinarsi simbioticamente parti di categorie opposte, come il maschile/femminile, l’umano/artificiale o il vivente/ inerte. Questa sfumatura simbolica permette di leggere una continuità nell’estetica dell’artista in riferimento alle sue esplorazioni sul tema del corporeo, inteso come un modello di superamento delle identità e dei limiti dell’uomo.

Bisognerebbe quindi leggere il registro fenomenologico dell’opera di Żmijewski nell’orizzonte del corpo come identità politica, dove il collasso dell’interno e dell’esterno è inteso in termini di potere, una metafora a partire dalla quale l’artista d.à luogo alla rappresentazione del dolore e della sofferenza, che passano ad occupare quel luogo fenomenologico dove la violenza è intesa come esercizio politico di denuncia.

La mostra sarà accompagnata da un volume monografico dedicato all’artista con nuovi testi del curatore, di Juli Carson, Galit Eilat, Adam Mazur e Adam Szymczyk e un’ampia sezione iconografica.

Per info:

PAC Padiglione d’Arte Contemporanea

+39 02 88446359 

pacmilano.it

Ufficio stampa:

PCM Studio Paola Manfredi

+39 02 36769480

press@paolamanfredi.com  

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COMUNE DI MILANO

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QUANDO LA PAURA MANGIA L’ANIMA – Foto Nico Covre, Vulcano Agency. Courtesy PCM studio Paola Manfredi.

 

 

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