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UNA PERTURBANTE BELLEZZA

Francesca Piovesan

– Sabino Maria Frassà

Sabino Maria Frassà/ Spesso hai dichiarato che il corpo è per te il primo strumento per conoscere la realtà. Cosa intendi?

Francesca Piovesan/ Nella mia ricerca artistica fin dai primi autoscatti il punto di partenza è sempre stato il corpo. In particolar modo ritengo che la pelle sia un complesso e affascinante interfaccia tra me e il mondo esterno. Il mio approccio al gesto artistico è spesso istintivo: ho bisogno di fare, fare e fare per poi misurare, studiare e cercare un ordine e una forma nuova.

SMF/ Body art, arte concettuale o performance?

FP/ Performance e concetto sono alla base del mio modo di intendere l’arte, il corpo non è il fine ma lo strumento da cui parto per andare oltre. Se penso ad artisti che mi hanno colpito negli anni della formazione penso infatti alle fotografie performative di Francesca Woodman e alle installazioni di Norma Jeane. Per me esemplare la sua opera Potlatch 6.1 con cui realizzò del formaggio a partire dal latte materno, decontestualizzando e trasformando il corpo al di là di esso, del suo valore funzionale e simbolico. Il corpo è solo l’inizio.

SMF/ La tua sembra essere sempre più un’arte della contraddizione: da un lato racchiudi la morbidezza della pelle in forme squadrate, dall’altro l’equilibrio decorativo a cui arrivi unisce una bellezza eterea a una materia in trasformazione, se non addirittura in decomposizione.

FP/ La realtà è complessa e non si può schematizzare. Le mie prime opere in vetro spesso creavano inquietudine perché ricordavano la parte scheletrica e la materia corruttibile di cui siamo fatti. Altri lavori creano nello spettatore collegamenti immediati con le maschere funerarie, come la maschera di Agamennone. Io non ho mai avuto questa sensazione, ma è vero che al centro del mio lavoro c’è la continua e necessaria trasformazione della materia, persino all’interno delle opere: le immagini che creo, essendo anche organiche, continueranno a evolversi in modo imprevedibile anche dopo il mio gesto. Con il mio lavoro prendo così coscienza della realtà in tutte le sue forme: cristallizzo istanti di realtà e cerco consapevolmente di dare un impossibile ordine a ciò che non può averlo. L’ordine non è per sempre.

SMF/ Con Aniconico sembri chiudere il cerchio e arrivare a uno di questi “istanti di realtà” creando mosaici di pelle, che celano un corpo “universale”.

FP/ È un lavoro di cui sentivo forte la necessità. Avevo bisogno di andare al di là della figurazione a cui ero ancora legata, di trovare un nuovo ordine. Grazie a una tecnica off-camera da me usata in passato, ho scomposto il mio corpo in tasselli e l’ho ricomposto in geometrie di impressioni fotografiche “strappate” per contatto con la mia pelle. Da lontano potrebbero sembrare mosaici parietali in pietra. Solo da vicino si riconoscono nasi, orecchie, occhi. Si intuisce che non è pietra, ma pelle. Non si riconosce però il soggetto ritratto. Il risultato è una nuova immagine al di là della mia figura… al di là del corpo.

Dall’alto: MEZZO BUSTO 02112021. Impronte di corpo, nastro adesivo, nitrato d’argento, carta, 74×74 cm. Veduta della mostra “S-composizioni” presso Gaggenau DesignElementi di Roma. Per entrambe courtesy dell’artista.

© 2022 BOX ART & CO.

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