SMALL TALK

ELOGIO DELLA MATERIA ASSENTE

Alberto Timossi

– Valentina Tebala

Valentina Tebala/ In quanto scultore “puro”, ti chiedo per prima cosa del tuo rapporto, etico ed estetico, con la materia e con lo spazio.

Alberto Timossi/ L’oggetto della scultura è la forma che assume una materia in relazione allo spazio che occupa; il paesaggio così modificato diventa opera se è portatrice di contenuti e se indossa una veste poetica. Scegliere un materiale-forma e inserirlo in un luogo che lo ospita comporta una responsabilità precisa. L’attuale contesto di cambiamento ambientale ci obbliga a riconsiderare il rapporto fra i materiali industriali e quelli naturali, a considerare che il marmo, prima di diventare opera, risiede nel ventre delle montagne, e la plastica, prima di diventare rifiuto, ha una sua funzione vitale.

VT/ Allo spazio museale preferisci quello naturale, sottendendo talvolta, i tuoi lavori, anche un messaggio di sensibilizzazione ecologista. Come nascono i tuoi interventi? Hai in mente prima il progetto che vorresti attuare o il luogo in cui realizzarlo?

AT/ Direi che progetto e luogo vanno di pari passo; spesso è il luogo a chiamare l’idea, ma a volte succede che l’idea maturi in studio e si adatti poi a un luogo preciso. È certo che i miei interventi ambientali desiderino parlare in generale dei temi che riguardano il cambiamento in natura e nell’ambiente. Lo sfondo ecologista può essere riconosciuto in questa ricerca continua di inserire nel contesto un elemento di rottura, spesso avulso, che apparentemente viola la sacralità del luogo, ma che serve a smascherare un problema, e su questo tentare di costruire una visione poetica.

VT/ L’acqua (un elemento così distante dalle caratteristiche fisiche dei materiali di cui solitamente uno scultore si avvale) ti affascina molto, difatti molte tue opere interagiscono con laghi, fiumi anche in secca o fontane…

AT/ L’acqua mi interessa perché ha vita ed è portatrice di vita. Ho iniziato a pensare alla scultura in acqua quando ho avvertito il bisogno di trovare un’alleata per modificare la forma minimalista delle mie strutture tubolari. Il continuo scorrere, e il panta rei, mi hanno aiutato nel processo di naturalizzare le forme industriali. Il lago di origine glaciale di Fata Morgana è così diventato parte dell’opera perché agente modellatore della forma della scultura; e così è successo con il fiume Crati a Cosenza, con il Lago della Ex Snia di Roma, o la vasca sacra del Kothon a Mozia. Ma se presente lascia un’evidente segno nella composizione del paesaggio da me creato, anche assente l’acqua definisce i punti salienti della composizione artistica: come nel ghiacciaio del Calderone che si ritira e prosciuga il Lago Sofia, come i letti dei fiumi secchi.

VT/ Un progetto sognato e non ancora realizzato?

AT/ È il progetto sulla fiumara Sant’Agata, che lambisce Reggio Calabria. Un topos ricco di storia, di contrasti e suggestioni: l’assenza del flusso, che appare improvviso e impetuoso nei giorni di gran pioggia e ammanta la striscia bianca di pietre che evocano insicurezza e sospensione. Forse è proprio questo lembo di coscienza, così incerto come lo è a volte lo spirito umano, che dischiude il desiderio di ricerca di profumi e sapori ancora inesplorati.

VT/ Gli artisti che ti hanno influenzato o ispirato in particolare?

AT/ Difficilissimo rispondere, forse potrei dirti i nomi degli scultori che mi hanno appassionato da ragazzo e che mi hanno spinto verso questa professione. Ma credo che sia più interessante ammettere che la scultura nella quale ormai mi riconosco sia la distanza fra le case in un paesaggio urbano e la profondità della visione in un paesaggio montano, dove elementi imprevisti cambiano la nostra percezione del reale.

SEGNACOLI, Vasca del Kothon, Area Sacra, Mozia (Trapani), 2019. 26 elementi in PVC, diametro 20 cm, altezza massima 160 cm. Dimensione ambientale. Foto © Giorgio Sacher. Courtesy dell’artista.

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