SOFT POWER e l’arte della diplomazia culturale Intervista a Gaetano Castellini Curiel

di Loredana Barillaro

Loredana Barillaro/ In un’epoca di prepotenza verbale, quale è quella in cui viviamo, e in cui l’hate speech spesso non si riesce a contenere nell’uso spregiudicato dei social, secondo lei, quanto bisogno c’è di un “potere gentile”?

Gaetano Castellini Curiel/ Si, c’è estremamente bisogno in questo periodo, basti pensare ai tweet di Trump che hanno portato ad episodi di violenza quali quelli di Capitol Hill. La rete e la tecnologia hanno un potere immenso e se utilizzati in maniera inadeguata possono essere estremamente pericolosi. Le nuove tecnologie dell’iperconnessione hanno alterato le regole del gioco politico in ogni ambito, come Moisés Naim ha descritto nel suo libro sull’argomento, viviamo in un’era dove è più semplice prendere il potere, ma molto più difficile esercitarlo e conservarlo. C’è da dire anche che se in passato la diplomazia si poteva prendere il lusso di comunicare alle autorità di altri paesi, oggi cresce l’esigenza di rivolgersi direttamente alle opinioni pubbliche e, di conseguenza, con strumenti diversi da quelli di un tempo. L’utilizzo di un potere gentile diventa fondamentale se si desidera coinvolgere, attrarre e convincere. Da qui l’utilizzo di strumenti, anche non convenzionali, quali il soft power. Abbiamo visto di recente il successo di Amanda Gorman e la sua poesia, all’insediamento del neo presidente USA Joe Biden.

LB/ Quanto è importante la condivisone del patrimonio culturale per il mantenimento degli equilibri diplomatici fra gli stati?

GCC/ L’utilizzo di un patrimonio culturale è fondamentale per il mantenimento degli equilibri diplomatici fra Stati. La diplomazia culturale definita da Milton Cummings nel 2003, come lo scambio di idee, informazione, arte e altre manifestazioni culturali, ai fini di accrescere la comprensione reciproca. La cultura e il bello portano rispetto fra i popoli e il patrimonio ne è il figlio. Avete mai provato a fare una trattativa fra persone di diverse culture? Sono dinamiche e riti totalmente diversi fra loro che variano a seconda di chi hai davanti da diverse priorità, quali la fiducia, il rispetto ma a volte anche dell’importanza del business.

LB/ Come può tentare l’Italia di recuperare il ruolo di riferimento culturale che, in questo momento storico, pare non riuscire più a gestire?

GCC/ L’Italia è una super potenza culturale, è stata esportatrice di contenuti nel passato e può tornare ad esserlo. Non basta il suo fascino e il suo potere di attrazione unico nel mondo. Oggi purtroppo stiamo vivendo un periodo buio da questo punto di vista. L’Italia è al 19mo posto nelle classifiche dei paesi che utilizzano il soft power. Gli Istituti italiani di Cultura hanno subito ingenti tagli negli ultimi anni, hanno attività disomogenee e spesso sono considerati una diplomazia di serie B, rispetto per esempio ai francesi. Gli Istituti Dante Alighieri non hanno lo stesso peso di altre istituzioni straniere quali la Cina, la Francia, la Germania e la Spagna, oltre al fatto che in Italia non si producono più mostre da esportare successivamente. Per quanto mi riguarda il mio suggerimento è quello di costituire una task force mista fra pubblico e privato con l’obiettivo di coordinare tutte le attività già in essere e produrne delle nuove da esportare, come le mostre. Gallerie d’Italia è una delle poche istituzioni che produce mostre a livello internazionale ed è un esempio efficace di museum diplomacy.

LB/ Mi dica, cosa l’ha spinta a scrivere Soft Power, perché ha deciso di confrontarsi con questo tipo di riflessioni?

GCC/ Ci sono stati due momenti che mi hanno spinto a scrivere questo libro. Il primo quando ho venduto l’azienda di moda di mia madre al più grosso gruppo del lusso cinese, operazione conclusasi con successo proprio grazie all’archivio storico della maison. Questo mi ha fatto riflettere proprio sul potenziale culturale italiano non solo dal punto di vista artistico ma anche dal punto di vista artigianale e del Made in Italy. Il secondo è stato quello di voler dare un messaggio, una presa di coscienza, un segnale alle nostre autorità vedendo l’operato di altri paesi nel mondo. Penso al Louvre ad Abu Dhabi, il Pompipou a Shanghai, il Victoria Albert Museum a Shenzen e così via.

Per tutte: courtesy Gaetano Castellini Curiel.

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