STATI D’ANIMO. Calma e dragunara nei dipinti di Roberto Masullo

di Loredana Barillaro |

Roberto, quanto c’è della tua terra, la Sicilia, nei tuoi lavori?

Roberto Masullo/ La Sicilia è parte integrante di me, del mio modo di essere. Ho vissuto in quella terra fino a 27 anni, quindi il distacco l’ho sentito maggiormente rispetto a chi parte da ragazzo per studiare fuori. Nei miei lavori credo si senta questa presenza, non solo per la raffigurazione del mare, ma anche nel modo di esprimere certe emozioni, certi pensieri. Sono cresciuto nutrendomi dei personaggi importanti della mia terra, da Peppino Impastato a Rosa Balistreri, passando per Danilo Dolci, ma mi ha sempre affascinato anche la miriade di usanze e credenze popolari che univano sacro e profano. Usanze che poi ho trovato in diversi luoghi che ho visitato, come la Lucania. Ogni avvenimento bello o brutto accaduto in Sicilia, mi appartiene e torna ciclicamente nelle mie azioni o nei miei pensieri. Cerco sempre di portare con orgoglio l’appartenenza a quel territorio spesso svalutato da preconcetti o stereotipi che sono ancora molto presenti fuori dall’isola.

A Konnubio, locale dalla doppia anima – ristorante e galleria d’arte – nella tua personale in corso fino a fine gennaio, hai portato dipinti basati sul tema della dragunara, me ne parli?

RM/ Proprio legandomi alla Sicilia e alle credenze antiche, ho deciso di trasporre il tema della dragunara su qualcosa di astratto come gli stati d’animo. La Dragunara in Sicilia ha molteplici significati, in alcune zone indica le streghe, in altri indica la tromba marina che spesso i pescatori si trovavano ad affrontare durante le loro battute di pesca. L’attaccamento al mare, in particolare quello tempestoso come nei dipinti dell’800 e il mio interesse verso la psiche umana mi ha portato a sentire mio questo termine e usarlo come un segnale, un segnale di tempesta interiore. L’uomo però si trova a dover gestire questa dragunara, così ho rappresentato degli stati d’animo che sono delle calme reali, altre sono solo apparenti, una specie di controllo emotivo dettato dal contesto sociale e in altri casi ho rappresentato le dragunare, le tempeste emotive causate a volte da un dolore profondo che porta negli abissi tutto ciò che incontra, mentre altre volte una tempesta che non è altro che un’onda impetuosa di voglia di vivere, di ricerca sfrenata di felicità. Le mie dragunare sono un invito ad una riflessione più lenta sui nostri comportamenti e sulla nostra salute mentale che spesso sottovalutiamo in favore di una velocità ed una disaffezione che lentamente ci logora.

Su cosa fonda, più in generale, la tua ricerca, qual è stato il percorso che ti ha condotto a fare l’artista?

RM/ La mia ricerca si basa sulla necessità di esprimere il mio pensiero, di condividere alcune visioni e riflessioni che faccio sul passato o sul presente (in particolare sulla condizione e sul comportamento umano oggi). Scrivo molto, forse più di quanto dipinga, e sento il bisogno di usare ogni tecnica possibile per esprimere un pensiero. Mi sono avvicinato all’arte da molto piccolo. Per le classiche ferie d’agosto era consuetudine il viaggio di famiglia dai parenti in costiera amalfitana. Lì passavo principalmente il tempo con mio zio Salvatore, un ceramista molto conosciuto e molto abile. Nonostante la mole di commissioni, lui non si dimenticava di me e dentro il suo laboratorio mi metteva a disposizione una postazione per lavorare l’argilla. Io mi divertivo a modellare ed inventare animali, preferivo modellare a decorare, forse per la materia o forse per alcune difficoltà visive su delle sfumature specifiche. Ogni volta che entravo in quel luogo mi sembrava un posto sacro, c’era una piccola radio (sintonizzata su radio Monte Carlo). Seduto potevo osservare decoratori e decoratrici che facevano scorrere quei pennelli dipingendo i motivi tradizionali che mi hanno sempre affascinato perché i motivi della costiera sono stati influenzati dagli artisti tedeschi, e non solo, che negli anni Trenta si stabilirono in quelle zone, tra questi Irene Kowaliska, artista dal gesto veramente poetico. Penso che l’attenzione che mi riservava e la libertà espressiva che mi lasciava mio zio hanno contribuito tanto ad acquisire una certa sensibilità nei confronti del mondo esterno e nel modo di approcciare ad esso. A questa esperienza si aggiunge la mia frequenza nei capannoni del carnevale di Sciacca, che mi ha permesso di conoscere altri materiali come la cartapesta e l’uso del colore. Da lì poi è stata una contaminazione ed una condivisione con tutte le persone che ho incontrato, artisti e non con il quale ho scambiato qualcosa.

Che significato hanno i “codici” – piccolissimi ritagli di giornale – che inserisci sulla superficie cromatica, da cui peraltro i tuoi dipinti traggono il titolo?

RM/ Con l’arrivo dei primi pc in casa, mi affascinai alle grafiche pubblicitarie, i loghi e le locandine dei film. Da questo ho compreso quanto fosse importante nella comunicazione arrivare al fruitore attraverso concetti brevi, a volte anche solo attraverso una parola. Per un periodo ho usato al posto della pittura le carte colorate (sempre per motivi legati alla vista), mischiate col giornale e alle parole, senza un preciso ragionamento. Quelle scritte creavano una trama piacevole al mio occhio. Successivamente, avvicinandomi all’arte anni Sessanta e Settanta, ma soprattutto al periodo intellettuale e storico di quegli anni, ho sentito il bisogno di usare le parole come trigger emotivo. Oggi sono fondamentali per me, sono il mio modo di interloquire con l’osservatore, scelgo le parole con attenzione ma non con ragionamenti articolati, scelgo in base alla sensazione che mi provoca quella parola/frase accostata al lavoro appena fatto. Mi piace poi l’idea che questo codice non sia unidirezionale, che non porti obbligatoriamente tutti alla stessa sensazione, ma porterà l’osservatore ad un suo ragionamento basato proprio sul suo vissuto, può avvicinarlo al mio pensiero come può portarlo altrove. Questa è la comunicazione e l’interazione che cerco, il mio senso di fare arte.

Dallalto: DIMENTICHIAMO TROPPO SPESSO, 2023. Smalti acrilici su tela. UN GIOVANE AMORE, 2023. Smalti acrilici su tela. Vedute della mostra. Un ritrato dell’artista Roberto Masullo, © Loredana Barillaro. Per tutte courtesy dell’artista e Konnubio.

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