di Enrico Turchi |
Verrebbe da leggerle come geroglifici e papiri di un tempo appena staccato dal nostro e fatto di leggi proprie, così pervadenti e altre da rendere la vista inattesa e immediatamente profonda come davanti all’eccezionale scoperta di lontani reperti archeologici. Queste opere di Valentina Palmi, o meglio Vale Palmi, come preferisce essere citata senza eccessi di retorica, esprimono il sintomo di una singolare normatività, così chiara e concisa, resa manifesta secondo i dettami di una propria grammatica che ne coadiuva i rapporti di tensione interna, le forme espressive esteriori, e la declinazione mediante l’uso dei suoi tipici materiali eterogenei.
In occasione dell’esposizione Stato di Grazia (ORO – BIANCO – ROSSO), la Palmi presenta una serie di dodici opere realizzate appositamente, ben orchestrate all’interno di un contesto allestitivo reso spazioso, luminoso e leggero, anche in virtù delle proprietà intrinseche così caratteristiche del suo lavoro. La mostra, curata da Alessandro Mescoli, Massimiliano Piccinini e Giorgia Cantelli presso la sala della Biblioteca Luis Sepúlveda di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, e con una nota testuale dello stesso Mescoli, sarà fruibile fino al I dicembre 2024.
La serie di tre opere Red Flag, poste di lato per l’ampiezza della parete a destra dell’ingresso principale e scandite secondo la cadenza del formato verticale, si impongono subito come lo sventolare della bandiera di quello “Stato di Grazia”, vera entità indipendente che coincide con la liberazione dal ritmo incessante delle attitudini concrete. Atteggiamento di intesa col nascere di una nuova poetica, il tema della soglia risponde qui a una condizione di tensione costante a una verticalità volta verso l’alto e il vuoto dell’immateriale, vessillo di una pratica esercitata in vita come nell’arte dalla sua stessa autrice. Uno scambio di energie che sembrano bilanciarsi tra il groviglio di linee curve avviluppate attorno a una retta diversamente orientata a seconda della versione dell’opera, contrasto tra sonorità indipendenti che si riflettono così nelle alterne percezioni dello spettatore. Un turbinio di rosso che nasconde i tocchi sottili di un’asta dorata, su di uno sfondo bianco. Composte nell’intervento a più mani di biro, matite, pennarelli, e l’utilizzo stesso del sangue, troviamo già in Red Flag la declinazione dei tre colori che esprimono al meglio la poetica dell’artista: l’immortalità misteriosa dell’oro, il vuoto pieno del bianco nell’ascesi spirituale, e il rosso quale simbolo pulsante della vita.
Tonalità energica e luminosa, adatta a conferire lucidità e a marcare la sua presenza tra gli strati di colore, il rosso si materializza tramite l’utilizzo del tratto a matita sanguigna e l’impiego di vere e proprie tracce ematiche, che ne costituiscono la matassa dei segni più scuri, forti e marcati. Sangue come motivo poetico a testimoniare la nostra dimensione fisica, proprio il “sugo della vita” teorizzato da Piero Camporesi¹, o quel “succo molto peculiare” voluto da Rudolf Steiner². Se qui l’astrazione si condensa in figurazione, è solo tramite l’espressione dell’Io, corpo pulsante e materiale che fa da timone nel tentativo estremo di non perdersi anche oltre la soglia, superato il ponte verso la dimensione propria dell’immateriale.
Il Libro dei risorti costituisce invece di un insieme di tre rotoli idealmente tratti dai papiri del Libro dei morti, testo egizio funerario oggi conservato al Museo Egizio di Torino. Intervallato da alcuni iati “energetici”, il testo ha idealmente il suo incipit con Intuizioni 1, dove troviamo la tipica forma ad elica di un cuore che batte in senso antiorario, andando a definire gradualmente una netta sfasatura col ritmo del tempo terrestre. In Intuizioni 2 sono trascritti ricordi di paesaggi tratti da esperienze anche marginali, ma che colpiscono per il pulsare interno di queste entità silenziose e modeste. Tensioni energetiche presenti anche sui bordi, dove ha luogo una cascata di tre o quattro scalini, a rimarcare la scansione dei termini di un battito in principio e fine del libro secondo. Intuizioni 3 è invece la fine di un percorso che approda a un punto di vuoto totale, da cui si propagano alcune frecce sottili che cercano di attirarci all’interno della composizione, rimarcandone i tratti dei ritmi salienti.
Con Psicostasia quattro opere scultoree hanno quindi spazio all’interno delle nicchie scandite lungo il percorso espositivo, romboedri aperti o chiusi che trovano nella alternanza del colore una polarità accesa alternativamente verso il rosso del materiale o il bianco dell’immateriale. La foglia oro racchiusa entro la cima del triangolo, marca il mistero dell’immortalità dell’anima, proprio secondo il rituale egizio della pesatura del cuore, chiave di accesso al regno di una vita incessante nell’aldilà. L’opera d’arte si dilegua qui oltre la superficie plastica esterna, rispecchiandone piuttosto una superficie interna della coscienza.
A suggello delle pieghe del Libro dei risorti, una serie di altre opere plastiche sostiene i rotoli scandendone le interruzioni tra le tre parti del tomo. Sono le piccole statuette dorate del Tukdam, pratica di meditazione orientale che sembra preservare per un certo periodo di tempo la conservazione del corpo e forse dello spirito, oltre la morte. Coppie rivestite di foglia oro e ottone, di cui l’una rimarrà incorruttibile mentre l’altra si troverà progressivamente a virare il suo colore, come nello stato di incertezza del persistere di una vita immateriale. Con uno sguardo costantemente teso verso l’alto, intuiamo in queste opere il ritmo di entità invisibili, l’ascolto della cui composizione ci da infine «la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i nostri sensi³».