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LA PITTURA TRASOGNATA

Paolo Bini                                                                                

– Gregorio Raspa

Il mio primo contatto con l’opera di Paolo Bini risale al 2012. L’immagine che mi lega alla scoperta dei suoi lavori è quella della palude greca di Kalodiki, ritratta dall’artista in un fortunato ciclo dello stesso anno. In esso l’identità specifica delle località rappresentate sembra sfumare nell’immaginario – accogliente e sintetico – di un paesaggio mediterraneo offerto con misteriosa ambiguità. Nell’astrazione lirica e melanconica di queste opere aleggia il tempo fermo della contemplazione, la nostalgia di un ricordo rarefatto. È quella di questo periodo una pittura che, seppur intimamente connessa ad una consolidata tradizione di “genere”, già medita sull’elaborazione di una nuova resa formale. In alcuni dipinti, infatti, è possibile rilevare l’affiancamento di porzioni distinte di paesaggio, di elementi autoreferenziali abbinati in un dispositivo unico, compendio di esperienze e memorie. In questo esercizio – mentale e pittorico – di ricostruzione visiva di quanto osservato appaiono evidenti i prodromi della ricerca estetica futura, la stessa che, di lì a poco, condurrà Bini ad elaborare composizioni dotate di una sensibilità inedita, foriera di significative conseguenze linguistiche. Definitivamente giunto ad una compiuta maturità – dopo una fisiologica attività di mutamento del segno, ed una consapevole revisione del suo rapporto con lo spazio e la materia – da qualche anno l’artista campano si cimenta in un modulare esercizio pittorico di destrutturazione del paesaggio, svolto dando forma e consistenza al proprio vissuto. Con le sue opere Bini trasporta il reale in una dimensione “trasognata”, sospesa tra la reminiscenza e il miraggio, ottenuta elaborando sensazioni cromatiche ed emotive. Una simile pittura trae nutrimento dall’esperienza straniante e rivelatrice del recupero proustiano: l’artista utilizza l’immersione mnemonica con perizia quasi scientifica, lasciando a quest’ultima il compito di agire sulle forme del ricordo, sugli elementi che la visione ha sottratto alla dimenticanza. L’ambito operativo nel quale si sviluppa una tale poetica è regolato da procedure meticolosamente organizzate e da una ritualità segnica e gestuale ampiamente collaudata. Elemento centrale di questo nuovo approccio pittorico è la ricollocazione – materiale e simbolica – della linea d’orizzonte all’interno della composizione. Ed è dal profondo lavoro di riflessione compiuto su questo imprescindibile elemento della prospettiva paesaggistica che nasce l’intuizione di sovrapporre più linee parallele, e di innestare fra loro componenti visivamente eterogenei ma dotati di una comune matrice narrativa e identitaria. Ciò avviene preservando la sostanza di ciò che via via si somma al preesistente e ad esso si congiunge in vista dell’unicum. La completa frammentazione dell’immagine, ottenuta affiancando e/o giustapponendo strisce di nastro adesivo, invita a leggere e interpretare il territorio dell’opera – ora suddiviso in porzioni di piano tra loro complementari – secondo le norme dettate da una nuova spazialità. Aspetti consequenziali ad una simile prassi costruttiva appaiono il superamento della forma-quadro tradizionale e la sperimentazione di alternative soluzioni scultoree, installative e oggettuali. Tutte formule espressive alle quali l’artista campano ricorre senza mai scavalcare i confini della pittura, al contrario estesi verso orizzonti formali talvolta inesplorati. Ed è muovendosi in tale direzione, operando metalinguisticamente sulla specificità del proprio lavoro, che Bini conferisce verità e bellezza alle sue visioni interiori.

LA PITTURA GIORNO DOPO GIORNO, a cura di Luca Beatrice. Veduta dell’installazione, Galleria Alberto Peola, Torino. Foto © Beppe Giardino.

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