PEOPLE ART

PRENDERSI CURA DELL’ARTE

Roberta Tenconi

“L’arte non esiste, esistono invece gli artisti” diceva Gombrich nell’introduzione alla sua celebre Storia dell’arte. Amo quel libro, la chiarezza e limpidità del racconto e penso che tutti dovrebbero leggerlo almeno una volta nella vita, ma per me esistono sia l’arte sia gli artisti, l’una non può esserci senza gli altri e viceversa. Ed è forse proprio per questo che ho iniziato a occuparmi di arte contemporanea. L’arte è qualcosa di speciale e unico e di fronte a un’opera c’è sempre qualcosa che va al di là della persona che l’ha realizzata, però è anche vero che è sempre un momento altrettanto unico confrontarsi con gli artisti, lavorare a stretto contatto, dialogare e avere la fortuna di osservare la realtà attraverso la loro visione e le loro domande. Praticamente ogni artista con cui ho lavorato, da Fischli e Weiss a Matt Mullican, fino ai più giovani come Laure Prouvost o Neïl Beloufa, mi ha insegnato che è sempre possibile guardare e realizzare cose in modi profondamente diversi da quelli cui siamo normalmente abituati a fare. L’arte, come del resto la vita, è qualcosa di complicato e mi interessa quando un’opera riesce a restituire questa complessità e in un certo senso a illuminare aspetti particolari dell’esistenza, a raccontare e farci guardare con occhi diversi il mondo in cui viviamo. Quando penso al mio lavoro, penso che sia mio compito valorizzare l’opera e la ricerca di un artista. Per me curare una mostra significa prendersi cura dell’arte e dell’artista, fare in modo che il lavoro sia presentato nel migliore dei modi possibili ma anche creare spazi di riflessione. Il che significa seguire tutte le fasi, da quando nasce una visione o un’idea fino alla sua realizzazione ed esposizione. In altre parole, allestire bene un’opera ma anche creare collegamenti e suscitare dialoghi che rendano onore alla sua complessità e stratificazione, e fare da tramite tra l’opera e il contesto, i suoi fruitori, dal pubblico più generalista ai professionisti dell’arte o la stampa specializzata. La prima grande mostra a cui ho lavorato è stata la quarta Biennale di Berlino nel 2006 e lì ho veramente compreso che oltre all’impianto concettuale e al pensiero intellettuale, ciò che rende speciale e ben riuscita una mostra è la cura dei dettagli. C’erano oltre 80 artisti divisi in 12 sedi – tra spazi pubblici e privati, appartamenti, uffici, una scuola abbandonata, una vecchia fabbrica e pure un cimitero – ma a ciascun progetto, dalle installazioni più complesse fino alla più minuta incisione appesa al muro, era stata dedicata un’attenzione e una cura estrema. Si verificava ogni particolare, perfino quanto pulire (o non pulire) i davanzali delle finestre, per lasciare integro lo spirito del luogo. Da allora ho lavorato in istituzioni pubbliche e private, in contesti molto piccoli o articolati come la Biennale di Venezia, ma credo che il mio approccio sia sempre il medesimo, lavoro a un progetto e cerco di realizzarlo al meglio. La mia fortuna è stata quella di essermi sempre trovata in contesti e istituzioni profondamente impegnate e aperte a dare voce agli artisti e ai loro progetti più radi- cali e ambiziosi. Da quando sono curatore in Pirelli HangarBicocca la mia attenzione si è rivolta principalmente alla realizzazione di mostre personali. Quando invitiamo un artista a sviluppare insieme un progetto espositivo, partiamo sempre da una riflessione sulla necessità e l’importanza di mostrare un determinato aspetto del lavoro, su cosa sia importante e significativo in quel momento per l’artista e il suo per- corso: in alcuni casi si è trattato quindi di retrospettive, in altri di incursioni su una tipologia di lavoro o di ricerca specifica, in altri ancora di dare vita a progetti che esiste- vano solo sulla carta. Per la mostra di Cerith Wyn Evans, ad esempio, che ho appena curato insieme a Vicente Todolí, il corpus di lavori presentato si concentra su una serie di sculture al neon bianco molto specifiche – ispirate al teatro Noh e realizzate tra il 2015 e oggi e che ricordano un’esplosione calligrafica di linee – ma nello spazio che chiude la mostra, il Cubo, è come se ci fosse un’altra esplosione di opere, che mette in scena una visione caleidoscopica di lavori differenti – che potrebbe essere anche considerata una piccola retrospettiva. Cerith è un artista che continuamente cerca di trovare nuove modalità, nuove parole, per descrivere il mondo in cui viviamo e questa mostra prende il via proprio da lì. Mi appassiona il suo lavoro perché esplora le possibilità della percezione e del linguaggio, l’uso che fa delle forme e della lingua – che spesso può sembrare misteriosa se non ermetica – suggerisce uno sguardo e una lettura complessa e mai monoculare della realtà, che possa mettere insieme la traiettoria dell’arte con storia, psicologia, pensiero filosofico, contesto politico, economico e via dicendo.Per dirla con le sue parole “The pleasure of doing what I do, in the first instance, is an attempt to find a sufficient grounds within the grammar of critical thinking to not only describe but to be able to “speak” the work.”

Roberta Tenconi è Curatore di Pirelli HangarBicocca di Milano.

Roberta Tenconi in un ritratto di © Lorenzo Palmieri. Courtesy Pirelli HangarBicocca.

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