PEOPLE ART

ACROBATICO, INVOLUTO, SPREZZANTE

Milovan Farronato

Votato all’ipotassi piuttosto che alla paratassi prediligo la sintesi, ma solo se prolissa di aggettivazione. Mi piace pensare di poter restituire la visione di una memoria, di un luogo, più spesso mi capita si tratti di un’opera d’arte, attraverso il registro diacronico della scrittura che avverto costantemente ostile e tuttavia mi contraccambia piacere. Amo anche credere di avere una presenza performativa, più nei silenzi e nei monologhi che nelle conversazioni. In entrambi i casi utilizzo il mezzo espressivo dell’auto-sabotaggio per divertirmi e improvvisare. Tradotto in termini spiccioli: creo un canovaccio ma mai un copione; prendo molte note sparse ma mi riduco a formalizzare una riflessione testuale nel breve volgere di poche ore o, nei casi più impegnativi, nel susseguirsi di alcune albe e altrettanti tramonti. Perché? Immagino si tratti di volersi sorprendere o di credere nella possibilità dell’errore qualificante. Cercare di confinare una predisposizione in un attimo, sullo stimolante precipizio del fallimento. Faccio un esempio al di fuori della mia pratica: la pittrice, musicista e performer, ma soprattutto pittrice inglese Celia Hempton sceglie, da tempo, di esporre le sue capacità pittoriche e cromatiche insieme alla sua idea di armonia e composizione in un processo frenetico che non è mai fortuito. La memoria inconscia spesso gioca un ruolo fondamentale! Scegliere di rappresentare, dal vivo, un atto o un momento che si compie velocemente, che ha un apice e poi una quiescenza – sia che si tratti dell’erezione auto-erotica di un amico o dell’eruzione di un vulcano – causa tanto uno stato di eccitamento quanto richiede la predisposizione a una controllata concentrazione. Una questione di climax per cui l’ultimo atto, quello risolutivo, è la punta di un iceberg di un sommerso fluttuante sempre rimesso in gioco. L’ho personalmente accompagnata in cima a Iddu (come gli Strombolani chiamano il loro vulcano) e l’ho vista compiere il gesto pittorico, sempre epico anche nella limitatezza del suo piccolo formato.  Anche Nick Mauss si espone a un auto-sabotaggio quando realizza le sue ceramiche, nel momento in cui offre il disegno, il tratto, la grafia e il colore a un processo di cottura peculiare che potrebbe diventare l’anonimo che insieme a lui firma, a quattro mani, l’artefatto finale. “Le coincidenze vanno sempre guidate”: sosteneva Stéphane Mallarmé e io l’ho spesso citato (anche abusato). Coordinare o coreografare energie nello spazio con sforzo sprezzante senza apparenti meccanicismi o grovigli cervellotici è ciò che credo di voler raggiungere. Arriviamo quindi all’anastrofe, a quella figura retorica per cui, in base a un contratto stipulato, la licenza poetica è parte costituente, imprescindibile. La possibilità di alterare (o sabotare) il normale ordine delle parole in una frase per creare una gradita e gradevole enfasi; per incespicare la sintassi, per distogliere l’attenzione, per suggerire qualche altra possibilità di lettura o una diversa gerarchia, o una non gerarchia.

“Total Anastrophes” è stato il titolo che con Runa Islam abbiamo dato all’ottava edizione del Festival che da quasi un decennio conduco per il Fiorucci Art Trust, di cui sono direttore artistico, sull’isola vulcanica di Stromboli. Uno tra i miei progetti curatoriali più noti e più scalzi; un luogo unico di potenti alchimie in cui la benevolenza e la malevolenza tendono a coincidere tanto quanto la fertilità con l’aridità di una montagna senza acqua. Un progetto in cui il backstage e lo stage sono la stessa cosa così come la prova generale è già la prima. Il titolo vocalizza la possibilità di una catastrofe in un’unica, irripetibile, emozionante convergenza di tante energie senza confini netti prestabiliti, una “strofa” alterata i cui versi vicendevolmente si subordinano e completano. Di nuovo, ipotassi in mutuo soccorso e bilanciamento. Allo stesso modo, i protagonisti Cecilia Bengolea, Alex Cecchetti, Patrizio Di Massimo, Haroon Mirza, Tobias Putrih e Osman Yousefzada, nostri autori e interpreti, si sono interfacciati e intersecati su vari piani, componendo un elaborato ma agevole sistema rizomatoso. Un’acrobazia non solo di sintassi ma anche geografica, che ci ha portati a occupare per una decina di giorni l’auditorium della Shilpakala Academy, l’Istituto di Belle Arti a Dacca, in Bangladesh, rendendo l’anastrofe vita vissuta. Per la prima volta Iddu ha viaggiato oltreoceano, il paradosso del suo magmatico mondo interiore sviscerato nella riproduzione di un immaginifico teatro nel ventre del vulcano, fatto di luci, ombre e memorie latenti. Anche il titolo della mostra che ho curato al Padiglione Italia quest’anno, in fondo, è un’anastrofe. “Né altra Né questa” è un’espressione inusuale che ne unisce e inverte altre, più logiche o ricorrenti: né questo né quello, né l’uno né l’altro. Sceglie il femminile per suggerire all’immaginazione di riempirne il vuoto sintattico con parole che, nella lingua italiana, sono spesso legate all’evocazione di una dimensione “altra” e altrove, aperta e astratta. L’abitudine a ragionare per binomi si interfaccia così con una strada che non è né qui né là. Non si trova né in questa né in un’altra via. Si contempla la possibilità di una terza scelta, quella di una realtà in cui i limiti delle contraddizioni si sorpassano.

Milovan Farronato è Direttore e Curatore del Fiorucci Art Trust di Londra, per cui ha ideato il Festival Volcano Extravaganza, e Curatore del Padiglione Italia alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.

Milovan Farronato in un ritratto di © Giovanna Silva. Courtesy Milovan Farronato.

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