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RIFLESSIONI DI UN VIDEOGRAFO

Giuseppe Colonese                                                                                                             – Serena Carbone

 
 

Giuseppe Colonese da tempo aggiunge al suo nome l’appellativo “Videografo”. Attraverso una semplice equazione letteraria forse ricaviamo una prima chiave di lettura della sua pratica artistica: videografo =  vĭdĕo + γράφω =  vedere + scrivere = scrivere attraverso un’informazione elettronica rappresentante un’immagine che varia nel tempo.  Mentre ascoltavo gli Underdog ho percepito l’atmosfera e la sensazione provata qualche giorno fa al San Giovanni di Catanzaro davanti all’ultimo lavoro di Giuseppe Colonese, Riflessioni. Percepita quella musica come scomposta, di rimando ho pensato alla scomposizione dei piani dell’immagine, mentre vedevo i gesti dei suoi protagonisti ricomporsi come in una sorta di gioco di “bambole interrotte”.  

L’azzeramento della gabbia prospettica, la ricercatezza iconografica, l’immaginario onirico, potente,  materico e ancora la ri–flessione sull’oggetto e dell’oggetto caratterizzano i video di Colonese, come lo stesso ribaltamento dei ruoli che rende interattivo (protagonista) non solo l’oggetto guardato ma anche il soggetto che guarda.
In Riflessioni la scala della configurazione ottica viene innalzata, e nella sua esasperazione logica l’oggetto filmato si confonde con la superficie che ne proietta l’immagine stessa, alterandola fin quasi a perdere il contatto con ogni forma di significante. La fotografia sembra essere matrice dei lavori riflessi, ma ormai il flusso del tempo in un unico spazio ha il sopravvento. L’immaginifico oscuro mondo di Witkin, insieme ai mostri della Arbus, sembrano aggirarsi nelle scene che pazientemente Colonese compone, sia che esse siano girate “en plain air” sia se realizzate in post produzione. Il tempo filtra le immagini e un nordico mondo da fiaba si dispone. Nonostante questo, non di rado la contemporaneità, la storia e il sociale fanno capolino nei lavori del videografo cosentino, e sempre vengono trattati con un sapiente equilibrio di scienza e umanità, di tecnica e inconscio fino ad armonizzare le dissonanze (vedi Red onion factory o Build Building). Non vi è la costante narrativa nella sua ricerca, anzi in lavori come uomochecorresudi1pratofioritoaltramonto, i segni estetici si riducono in frequenze, ma quando sullo schermo l’informazione elettronica si trasforma in immagine, come in SEcondo o in Riflessioni, allora pare di sentire Maria Gloria Bicocchi quando dice che “in America il mezzo è il linguaggio, non c’è dubbio. Ma in Europa il mezzo viene usato come tale, non è mai il linguaggio”. 

RED ONION FACTORY, 2010. Still da video. Courtesy dell’artista.

© 2011/2012 BOX ART & CO.

 

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