PARTICLE | Arte fra reale, digitale e business per nuove community

Intervista a Bruno Bolfo

di Loredana Barillaro

Loredana Barillaro/ “Particle” o della fruizione liquida dell’arte tra reale, digitale, phygital e impresa, me ne parla?

Bruno Bolfo/ Partendo da un minimo comune denominatore che è riconoscibile nell’emozione che l’arte evoca, noi di Particle siamo in grado di riunire più pubblici, più community, sotto il cappello della stessa curiosità e questo, insieme a un lavoro strutturato a livello empatico, ci permette di creare un nuovo dialogo tra cultura, mondo del business e delle istituzioni, fornendo un nuovo potente strumento di comunicazione che trascende i confini geografici, d’età, d’educazione o di genere. So quanto tutto questo possa sembrare intangibile e per spiegarmi meglio voglio farvi un esempio: quando visitiamo una mostra d’arte, spesso ci capita di non riuscire a capire l’opera, di non coglierne l’essenza e questo ci “depista”, ci distrae, talvolta anche ci indispone. Noi di Particle vogliamo rendere la fruizione dell’opera d’arte più coinvolgente, mantenendo inalterata la sua concezione (sia essa fisica o digitale), ma andando a implementarne la fruizione usando le giuste tecnologie che suggeriscano al visitatore gli strumenti giusti per rendere questo incontro meno complicato e rivolgere l’esperienza in positivo. Le esperienze digitali e fisiche diventano continue e fluide, aprendo una nuova realtà dove il reale e il virtuale si completano a vicenda in una nuova dimensione che permette un’interazione prima nemmeno pensabile. Le nostre esperienze poi sono anche altamente immersive, basate su contenuti che vengono creati ad hoc intorno al pubblico per aumentare il senso di appartenenza alla comunità. Le nostre esperienze smuovono le emozioni delle persone e danno loro un ruolo attivo e protagonista che crea dipendenza. Particle individua nell’esperienza dell’opera d’arte la chiave per la costruzione di relazioni positive, il terreno ideale in cui ambientare incontri inediti e proficui. Per questo ci rivolgiamo a due gruppi di interlocutori: da un lato le istituzioni culturali e gli operatori del sistema dell’arte, dall’altro aziende e imprese desiderose di investire in cultura, proponendo a ciascuno di loro una consulenza strategica tailor-made e possibili partnership, che conducano alla definizione di alfabeti personalizzati e strutturati sui loro valori di riferimento e quelli delle comunità a cui si rivolgono.

LB/ Particle si rivolge a un pubblico ampio, ma qual è il bacino di maggior interesse?

BB/ Non abbiamo un bacino specifico di interesse. Il nostro obiettivo è riuscire a parlare una lingua con più sfaccettature, che sia comprensibile a tutti, che permetta di aiutare le persone ad aprirsi all’arte, a mettersi in discussione ponendosi delle domande e nutrendo la propria curiosità, oltre che ovviamente generare emozioni, elemento fondamentale. Vogliamo raggiungere persone di diverse età, interesse, etnie, provenienza sociale, genere, proprio perché l’arte è per tutti. Riuscire a mettere in relazione un pubblico proveniente da comunità diverse permette di creare interazioni ancora più forti e, di conseguenza, una comunità aperta al confronto e vogliosa di approcciare l’arte in un modo più naturale, senza pregiudizi. All’interno dell’ecosistema di Particle vi saranno molteplici esperienze che nella loro globalità si rivolgeranno alle diverse comunità, ma che nella loro specificità andranno a coinvolgere attivamente comunità selezionate, come è avvenuto per Fragilità, che ha voluto coinvolgere nello specifico la sfera economica, quella accademico-scientifica e quella delle ambasciate grazie al potere aggregante dell’arte.

LB/ Che tipo di lavoro svolge a sostegno dell’arte e degli artisti? Come riesce ad intermediare fra domanda e offerta?

BB/ In Particle creiamo esperienze che permettano di coinvolgere le persone ma sopratutto di promuovere l’arte, sia essa fisica o digitale. Vogliamo che gli artisti e il pubblico siano i veri protagonisti delle nostre esperienze, vogliamo creare un dialogo tra i due, avvicinandoli e dando la possibilità agli artisti di sperimentare. Non creiamo esposizioni artistiche convenzionali, bensì vogliamo rendere i nostri progetti attivi, fare in modo che vi sia un vero dialogo tra le comunità e l’arte, dove gli artisti siano a loro agio e possano trovare uno spazio nel quale essere stimolati, osando e giocando con la loro creatività, in modo che le loro idee possano venire così co-promosse, così come l’arte in sé. Si crea quindi un’avvicinamento naturale tra domanda e offerta. Poniamo molta attenzione alla parte tecnologica, fondamentale per creare le nostre esperienze e nuovi stimoli anche per gli artisti che coinvolgiamo.

LB/ Quanto c’è di creativo nel suo lavoro? E quanto invece è legato più strettamente al business?

BB/ Si tratta di un lavoro decisamente creativo rivolto all’ideazione e creazione delle esperienze che, come detto precedentemente, vede il coinvolgimento di diversi attori e comunità, oltre che la definizione di un fil rouge che permetta al progetto di vivere ed evolversi. Apparentemente sembra un processo semplice, ma ci sono in realtà molte dinamiche ed elementi da tenere in considerazione e tra le quali trovare il giusto equilibrio, dall’aspetto tecnologico a quello sociale, psicologico e ovviamente artistico, solo per menzionarne alcuni. È quindi fondamentale avere un team con competenze diverse che si possano complementare tra di loro. L’aspetto creativo è proprio quello che mi piace e che ci permette di pensare sempre a cose nuove, osando per creare esperienze sempre più coinvolgenti e modi nuovi di portare l’arte alle persone. Non bisogna però dimenticare l’aspetto del business, che risulta molto importante al fine di rendere l’attività sostenibile e permetterci di offrire esperienze nuove e sempre più innovative.

LB/ Mi racconti di “Fragilità”, il primo progetto di Particle in collaborazione con ICA Milano.

BB/ Bisogna sottolineare che il progetto era nato come un connubio tra l’esperienza digitale offerta dalla piattaforma e l’esposizione fisica che avrebbe dovuto inaugurare a Kuala Lumpur. Queste due dimensioni avrebbero dovuto interagire e nutrirsi vicendevolmente, ma a causa delle stringenti misure legate al Covid-19, la mostra fisica è on-hold. Questo non ha ridotto in alcun modo il potere comunicativo del progetto, anzi. Si tratta del primo progetto ideato e prodotto da Particle. Abbiamo voluto affrontare un tema – la fragilità – conosciuto da molti, se non da tutti, dopo l’esperienza della pandemia iniziata l’anno scorso, ma con una connotazione positiva. L’obiettivo è quello di raggiungere un’audience molto allargata creando una partecipazione attiva. Per fare questo abbiamo sviluppato una vera e propria esperienza immersiva nella quale i visitatori avranno un ruolo determinante, avendo la possibilità di fruire di diversi contenuti e attività in base al proprio interesse. Il tutto porterà, nel tempo, a una continua generazione di contenuti che andranno ad arricchire l’esperienza stessa, la quale rimarrà disponibile in maniera perpetua, dando quindi la possibilità ai visitatori di ritornare a viverla. Abbiamo voluto rivolgerci a diverse comunità, partendo ovviamente da quella artistica, con il coinvolgimento di 3 curatori – Alberto Salvadori, Luigi Fassi e LIM Wei-Ling – e 8 artisti, 4 italiani e 4 del Sud Est asiatico e, al contempo coinvolgere la comunità governativa, economica e accademica. Ciò è stato possibile perché il tema trattato vede una perfetta corrispondenza con ognuna di esse: in breve, le ambasciate si trovano a gestire momenti di fragilità e sono un veicolo per la promozione della cultura del paese che rappresentano; le aziende gestiscono quotidianamente momenti di fragilità e le realtà di successo riescono a prendere vantaggio da questi grazie alla propria creatività, creando anche resilienza; mentre gli studenti hanno la necessità di imparare ad affrontare e gestire la fragilità che troveranno nel mondo del lavoro. Risulta quindi fondamentale lo sviluppo della parte empatica di ognuno di noi al fine di affrontare al meglio questi momenti fragili, e da qui si può comprendere meglio come l’arte possa essere un forte strumento di generazione di emozioni ed empatia nelle persone. Una delle difficoltà che abbiamo affrontato nella fase di sviluppo iniziale è stata quella di ideare e disegnare un’esperienza digitale che fosse in grado di coinvolgere appieno ogni comunità, e perciò fosse di interesse per ognuna di esse, che hanno necessità e approcci diversi. Il team di Paricle, che include anche uno psicologo, ha lavorato molto su questo aspetto e crediamo di aver raggiunto un buon risultato, anche se il giudizio finale verrà dato da tutti i visitatori che dal 10 di marzo parteciperanno all’esperienza. Oltre a Fragilità stiamo già lavorando a un nuovo progetto sul tema della sostenibilità che sarà live dopo l’estate. Stiamo anche già parlando con diversi interlocutori per lo sviluppo di nuove esperienze.

Dall’alto: Un ritratto di Bruno Bolfo. Anurendra Jegadeva, Grey Dancer II (2020) / Acrylic on canvas / 146cm x 106.5cm (Top); 8cm x 106.5cm (Centre); 46cm x 106.5cm (Bottom); 100cm x 107cm (Triptych) / 2020. From the series Scream Inside Your Heart: New Paintings from Solitary Confinement. Francesco Simeti, Sea Holly, 2018. Medium wallpaper. Courtesy the artist. Title Unrelenting, 2020. Medium video animation, edition of 5 5’. Courtesy the artist and Magazzino Italian Art, Cold Spring, NY.

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