IL MUSEO NOVECENTO DI FIRENZE. DAL SECOLO BREVE AL CONTEMPORANEO | Stefania Rispoli

di Loredana Barillaro | 

Stefania, il Museo Novecento porta nel nome il riferimento al secolo scorso, ma nella sua programmazione ben si presta alla promozione dell’arte contemporanea ponendo attenzione ai suoi più significativi protagonisti. Che tipo di approccio si attua, dunque, nella definizione del programma espositivo e delle iniziative correlate?

Stefania Rispoli/ Per ogni museo la collezione è sempre il punto di partenza perché è quanto lo differenzia per statuto da qualsiasi altro tipo di istituzione culturale.
La conservazione delle raccolte – storiche o recenti che siano – è tra le sue principali missioni ma non esaurisce ovviamente la sua funzionalità. Ogni istituzione museale deve vivere in relazione con il presente e posizionarsi nel tempo, all’interno della società, per questo al principio della conservazione si affianca quella della valorizzazione e attualizzazione del patrimonio. Ogni collezione è un organismo vivo e dinamico che può offrire continue occasioni per riflettere e rivedere le narrazioni storiche che abbiamo costruito attorno al nostro passato, più o meno recente. È una consapevolezza che la museologia e i musei hanno ormai acquisito da tempo e che guida anche il nostro lavoro. Per questo il Museo Novecento, nato nel 2014 per dare una casa alle raccolte del XX secolo del Comune di Firenze, dal 2018 ad oggi, con l’arrivo del nostro direttore Sergio Risaliti, ha costruito una programmazione che si muove a cavallo tra l’arte del secolo breve e il contemporaneo, cercando di valorizzare attraverso le mostre, i progetti speciali e il public program sia gli artisti del XX secolo sia quelli più recenti, fino ad arrivare alle nuove generazioni. Con il tempo abbiamo definito alcune traiettorie curatoriali e di approfondimento scientifico ben precise, che forse sintetizzerei in questo modo: la predilezione per le mostre monografiche, pensate per far emergere aspetti peculiari e meno conosciuti della biografia di un artista; l’attenzione verso la pratica del disegno, specialmente in relazione alla scultura; il dialogo con la collezione permanente per una riflessione sulla storia dell’arte, i suoi canoni e i suoi strumenti; il dialogo con il patrimonio rinascimentale della città e il rapporto con altre istituzioni, incentivato dalla nascita di progetti realizzati anche al di fuori delle mura delle ex-Leopoldine.

Quali sono le mostre più “interessanti” a cui il museo ha lavorato sino ad oggi?

SR/ Direi che tutti i progetti sono stati portati avanti con cura e hanno portato a un arricchimento, anche personale. L’elenco sarebbe quindi molto lungo perché negli ultimi quattro anni il museo ha prodotto più di 100 mostre e progetti speciali, di scala ovviamente diversa tra loro. I progetti più impegnativi in termini di opere e collaborazioni sono stati sicuramente quelli dedicati a Wolfgang Laib, Henry Moore, Allan Kaprow, Jenny Saville, Pellizza da Volpedo, Tony Cragg, Y.Z. Kami, Alberto Giacometti e Lucio Fontana per citarne alcuni. Personalmente sono molto legata anche alle mostre e ai progetti realizzati con artisti italiani della mia generazione, penso al Festival Match dedicato alle arti performative nato insieme a Jacopo Miliani in occasione della mostra di A. Kaprow, o alle monografiche di Elena Mazzi, Francesca Banchelli, Giulia Cenci, Luca Pozzi (inaugurata di recente in relazione alla mostra di L. Fontana) il progetto “Wonderful” pensato per sostenere tramite un premio gli artisti più emergenti che ha coinvolto Camilla Alberti, Anouk Chambaz, Binta Diaw, Riccardo Giacconi, Marco Giordano e Margherita Raso.

Che tipo di rapporto siete riusciti ad instaurare con i cittadini, che sono peraltro i primi spettatori del museo. Come si riesce ad andare oltre una certa soglia legata al passato e convincere il pubblico della necessità di aprirsi alle tendenze più attuali? In fondo la grande eredità del passato, se da un lato può costituire un basamento importante su cui poggiarsi, dall’altro può costituire, talora, un limite; quali collaborazioni si instaurano con le altre realtà espositive della città al fine di creare un “movimento” coerente?

SR/ Quando si opera all’interno di un museo pubblico si concepisce il proprio lavoro come un “mettersi al servizio” dell’arte, degli artisti, del pubblico, della città e dei suoi cittadini. La funziona civica e sociale del nostro ruolo è alla base del lavoro che tutti i giorni svolgiamo, questo vuol dire che non possiamo prescindere dal dialogo con il territorio, ovvero con le comunità che lo abitano, i residenti, i giovani e le altre realtà, culturali e non. Il nostro lavoro implica mettersi in ascolto tanto delle opere, quanto degli artisti e del pubblico per creare le condizioni migliori e le narrazioni più appropriate per fare esperienza “con” e “dell’arte”. Cerchiamo quindi di apprendere dal pubblico, ad esempio osservando come le persone si muovono all’interno dello spazio museale, accogliendo le loro impressioni, mantenendoci quanto più ricettivi e aperti. Lo stesso avviene con gli altri musei e istituzioni culturali, per questo dal 2018 abbiamo realizzato molti progetti a cavallo tra gli spazi del Museo e l’esterno, collaborando ad esempio con il Museo dell’Opera del Duomo, il Museo di San Marco, il Museo degli Innocenti, Casa Buonarroti, il Centro Pecci e altri musei civici come Palazzo Vecchio e il Museo Stefano Bardini, sempre nella direzione di leggere tutta l’arte come contemporanea e portando artisti e opere a dialogare con contesti più storici. Se parliamo in termini generali, negli ultimi 15 anni Firenze è molto cambiata e da città arroccata sul suo passato glorioso si è aperta al contemporaneo grazie alla collaborazione di molti partner, a partire dall’Amministrazione comunale che ha voluto la nascita del nostro Museo, passando per Palazzo Strozzi, il Museo Marino Marini, le grandi installazioni in Piazza della Signoria e le mostre al Forte Belvedere (curate dal nostro Direttore Risaliti e organizzate da MUS.E che si occupa per il Comune della valorizzazione dei musi civici tra cui il Museo Novecento) e per tante associazioni e fondazioni attive sul territorio, oltre che per gli artisti che hanno scelto di lavorare qui.
Infine ricorderei la nascita e lo sviluppo di Manifattura Tabacchi, con il cui il museo ha collaborato, e quella del Premio Rinascimento + e della Florence Art week, organizzati dal nostro museo, che hanno sfatato il mito di Firenze-città di Guelfi e Ghibellini innescando una rete tra tutte le realtà attive nel contemporaneo. Il percorso è ancora lungo, il dibattito è sempre acceso ma ci sono tutte le premesse per proseguire in questo senso.

Qual è il tuo ruolo, di cosa ti occupi all’interno del Museo?

SR/ Mi occupo del coordinamento scientifico e della co-curatela di mostre e progetti speciali.

Da cosa è composta la collezione permanente del Museo Novecento?

SR/ La nascita del Museo Novecento nel giugno del 2014 ha rappresentato in un certo senso una rivoluzione culturale in città, soprattutto nell’ambito dell’amministrazione civica. Si è trattato del primo museo dedicato al secolo breve e al contemporaneo all’interno di una città che aveva da sempre costruito la sua politica culturale attorno alla valorizzazione del passato e alla sua immagine di città-culla del Rinascimento. Per dirla con le parole di Alberto Della Ragione, collezionista a cui il museo deve tanto, si è smesso di “passare ad occhi chiusi davanti all’arte del nostro tempo”. Il corpus delle collezioni è dedicato all’arte italiana del Novecento. La sua nascita deve molto al collezionismo privato e in questo ripercorre una storia comune all’origine anche di altri musei cittadini, a partire dagli Uffizi, dal Museo Bardini o dallo Stibbert. Il Museo Novecento nasce infatti prevalentemente dalla collezione Alberto della Ragione e da quella del MIAC, il Museo Internazionale d’Arte Contemporanea immaginato da Carlo Ludovico Ragghianti verso la fine degli anni Sessanta e nato solo negli anni Duemila con il Museo Novecento. La raccolta “della Ragione”, che è esposta, in parte, al secondo piano con opere di De Chirico, De Pisis, Severini, Morandi, Mafai, Guttuso, Casorati e altri, venne donata dall’ing. Alberto della Ragione nel 1970, poco dopo la terribile alluvione che aveva devastato Firenze, come una sorta di simbolico risarcimento per i danni subiti dal patrimonio artistico di Firenze. Arrivarono in città 240 opere e molte altre furono donate da altri artisti dell’epoca grazie ad un appello lanciato da Ragghianti a cui risposero tra i tanti Fontana, Accardi, Sanfilippo, Maselli.
Le collezioni del museo si stanno pian piano arricchendo di nuove donazioni e speriamo che possano accogliere anche molte artiste del Novecento al momento carenti, spingendo nella direzione di una maggiore consapevolezza del loro ruolo nel passato artistico del nostro paese.


Stefania Rispoli (Associazione MUS.E) si occupa del Coordinamento scientifico del Museo Novecento.

Dall’alto: Un ritratto di Stefania Rispoli. Loggiato esterno del Museo Novecento. Per entrambe courtesy Museo Novecento, Firenze.

 

(pubblicato nel n. 46 Aprile-Giugno 2023 di SMALL ZINE)

 

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